La mia prima camminata nelle mesetas: una meraviglia! La guida parla delle mesetas come se fossero un qualcosa di orrendo e noioso, da superare stringendo i denti, senza affogare nella noia. In realtà l’impressione mia e degli altri pellegrini con i quali ho parlato oggi è molto differente. Il senso di pace e solitudine che si prova camminando nelle mesetas è quasi irreale. Lo sguardo si perde in ogni direzione, vedendo tutto uguale: enormi distese ondulate di verde, cielo blu, e nient’altro se non la strada da percorrere. Sembra di essere su una barca in mezzo al mare, solo che al posto del blu dell’acqua, c’è il verde del frumento. Il senso di “niente in vista” è esattamente lo stesso.
Le mesetas sono dei grandi altipiani pianeggianti che si sollevano di un centinaio di metri rispetto al resto. Non mi è chiarissimo il perché, ma nessuno abita sulle mesetas e non ci sono edifici di alcun tipo. La mancanza di case e altre costruzioni potrebbe far pensare ad un ambiente selvaggio, ma niente è più lontano dal vero. Ogni metro quadro è infatti perfettamente coltivato e nulla è lasciato al caso. Questo contrasto fra artificiale e disabitato, unito al costante ed incessante canto di innumerevoli uccelli, rende l’atmosfera decisamente magica. Stando alla guida, sulle mesetas il clima è estremo, con enormi escursioni fra giorno e notte, fra estate e inverno. Noi siamo stati molto fortunati a trovare un giornata bella e fresca; probabilmente in estate il frumento ingiallito dal Sole e il caldo estremo devono dare ai pellegrini l’impressione di trovarsi in un inferno senza fine.
Questa mattina leggendo la guida ho scoperto che a Puente Fitero, nell’Ermita di san Nicolas, c’è un rifugio gestito da italiani. Ho così deciso di tentare il tappone da 40km anche se, vista la limitatissima capienza del rifugio (solo 10-12pl), il rischio di non trovare posto era altissimo. Sono arrivato come sempre relativamente tardi e, avvistando l’Ermita di San Nicolas ho subito capito che si trattava di un posto speciale. Senza tante speranze, mi sono avvicinato ed è subito stato chiaro che non solo era già pieno, ma che numerosi pellegrini avevano già provato a trovare alloggio senza successo. Non appena però i simpatici e generosi gestori hanno capito che sono italiano, si sono fatti in quattro per trovare una soluzione: tutto sommato un pellegrino singolo si può sistemare ovunque. Al momento del timbro della credenziale si sono accorti che sono di Trento e immediatamente Franco, uno dei gestori, ha cacciato un urlo di gioia: anche lui è trentino. Per farla breve, alla fine sono stato ospite di Franco, nella stanza riservata agli hospitaleros, evviva!
Il rifugio non è come gli altri ostelli. Per prima cosa è ricavato… in una chiesa. Da una parte l’altare, in mezzo un bel tavolone, dall’altra i letti. Niente elettricità, illuminazione a candele. I gestori fanno parte della Confraternita italiana di San Jacopo e ci hanno accolti e poi salutati il giorno dopo con dei riti suggestivi. Lavanda dei piedi con presentazione e preghiera speciale prima di cena. Benedizione e abbraccio prima della partenza. I gestori, Vittorio, sua moglie Gianna, e Franco, sono molto entusiasti del cammino e sono sempre prodighi di profonde riflessioni, consigli e divertenti aneddoti.
Oltre ai gestori, ho anche conosciuto due giovani pellegrine italiane, Elisa e Serena, casualmente anche loro ospiti del rifugio e ben inserite nella comunità italo-internazionale che si è formata durante il pomeriggio. Ci sarebbe molto da scrivere sulla cena, sul piacevole dopo-cena di gruppo e, più in generale, sull’esperienza a San Nicolas, ma non ho abbastanza tempo per farlo. Conserverò comunque sempre degli ottimi ricordi delle persone incontrate e, perché no, del rifugio stesso.