Giorno 23, mercoledì 9 maggio, Rabanal del Camino – Ponferrada

Oggi giornata intensa, molto bella, ricca di incontri, anche strambi. Ho però vissuto anche alcune difficoltà fisiche che mi hanno portato a rallentare molto, arrivare particolarmente tardi, e a soffrire un po’. Non voglio entrare nei dettagli… diciamo che sono stato colpito dalla sindrome di John Wayne. Si comincia a camminare stile cowboy e poi bisogna entrare in farmacia, spiegare (in spagnolo) alla commessa di che si tratta, osservare i sorrisini, e uscire con la crema magica per la pelle dei neonati. Bah, speriamo faccia effetto e di svegliarmi domattina senza sindrome.

La salita verso la Cruz de Hierro presenta un bel sentiero fra cespugli di fiori colorati, prati e qualche tratto di bosco, tutto immerso nella nebbia. Un bella differenza rispetto alla pianura sterminata degli ultimi giorni. Non voglio raccontare la storia della croce (è in tutte le guide), ma solo far notare che prima di partire non ne sapevo nulla e quindi non mi sono preparato. Essenzialmente, si dovrebbe portare da casa un sasso e depositarlo ai piedi della croce, recitando un’apposita preghiera. Ad esempio, c’è chi si limita a scriverci sopra il proprio nome, chi avvolge il sasso in un foglio di carta sul quale ha scritto i suoi pensieri, chi lo colora artisticamente e, come sempre, c’è chi esagera. Gira la storia di un signore polacco che recentemente è arrivato alla Cruz a piedi da casa sua con un sasso di 8kg…

La discesa dai 1500m della Cruz ai circa 500m di Ponferrada è piuttosto lunga e faticosa, con gli ultimi 8km quasi interamente su asfalto: davvero devastante a fine tappa. Se alle mie difficoltà di giornata aggiungiamo che siamo passati dal gelo delle ultime settimane all’afa torrida di oggi, ecco che si spiega perché in questo momento mi sento così cotto.

Poco sotto la Cruz, si trova il famoso rifugio Manjarin, che espone i classici cartelli con le distanze verso i luoghi più importanti del pianeta. Come sottolinea anche la guida, tutti scattano qui una fotografia decisamente scontata. Volevo andare controcorrente e non estrarre nemmeno la macchina fotografica, ma uno dei cartelli mi ha quasi commosso (si fa per dire…): ecco che l’unica città italiana oltre all’ovvia Roma è… Trento, distante ben 1927km.

Dicevo di alcuni incontri strambi. Non ho tempo di descriverli per bene: mi limito quindi a pubblicare le fotografie e a scrivere qualche nota. Ho incontrato:

  • una ragazza che fa il cammino correndo (mi chiedo come sia possibile sostenere uno sforzo del genere per più giorni di fila);
  • un signore francese di una certa età che invece dello zaino ha un trolley (!!!);
  • un triciclo;
  • un ragazzo con mega-bandiera dell’Atletico Madrid. A quanto pare stasera c’è una finale di coppa e dai botti che sento credo abbiano vinto.

Giorno 22, martedì 8 maggio, Santibanez de Valdeiglesias – Rabanal del Camino

Finalmente qualche montagna. Niente di eccezionale, non sono né i Pirenei, né le Alpi, ma comunque la delicatissima salita iniziata questa mattina ci porterà domani sul punto più alto del Cammino Francese, a quota 1500m, sul monte Irago, dove si trova la famosa Cruz de Hierro. Ma di questo magari parlerò domani.

Oggi giornata ricca di incontri. Prima di tutto, questa mattina, quando sono uscito dall’ostello mezzo addormentato e con le gambe di legno, un ragazzo barbuto mi ha superato lanciatissimo. Non so perché, ma mi ha dato immediatamente l’impressione che fosse un italiano. Poche centinaia di metri dopo si è fermato per togliersi una maglia e quando l’ho raggiunto ho sentito che borbottava qualcosa tipo “che caldo!” (a proposito, la temperatura si è alzata di una decina di gradi, anche se continua a piovere come sempre). Colto subito l’italico idioma mi sono presentato e abbiamo poi camminato insieme per parecchi chilometri fino a ora di pranzo. Si tratta di Alessandro di Brescia, poco più di 30 anni, esperto montanaro e buon scialpinista. Ottima ed interessante conversazione sugli argomenti più disparati. Anche se Alessandro ha circa il mio passo (forse è anche un po’ più veloce di me, a dir la verità) e facciamo tappe di lunghezza comparabile, lui preferisce partire presto la mattina e arrivare a destinazione il prima possibile, in modo da avere il pomeriggio libero.

Dopo Astorga, quando inizia la salita (si fa per dire, in realtà per oggi si tratta di 300 metri di dislivello distribuiti su 20km) e decido di fare la mia solita mega pausa pranzo, saluto Alessandro che preferisce continuare direttamente fino a destinazione. Durante il pranzo faccio conoscenza con una ragazza americana di origine indiana, molto simpatica e chiacchierona, che sembra intenzionata a voler sapere tutto di me e dell’Italia. Il nome ha un spelling strano e purtroppo l’ho già dimenticato, diciamo che potrebbe essere qualcosa tipo Merjaa. La signora del bar, oltre ad essere molto brava a cucinare, quando capisce da dove vengo inserisce subito il cd di Pavarotti a tutto volume e… sorpresa! Sia lei, sia Merjaa amano la lirica e si mettono a cantare alcune arie a squarciagola, fra lo stupore degli altri clienti. Probabilmente si aspettano che mi unisca al coro dimostrando le mie italiche doti tenorili, ma astutamente mi astengo!

Dopo pranzo ho camminato per un’oretta con Merjaa, discutendo di possibili futuri cammini. Per non dimenticare i suoi suggerimenti, mi appunto qui l’Appalachian Trail americano e il cammino degli 88 templi giapponese… da indagare al mio ritorno. Anch’io ho fornito informazioni utili a Merjaa: ora è a conoscenza della Via Francigena.

Una volta salutata Merjaa, ho ripreso la salita col mio solito passo e dopo pochi minuti ho raggiunto Javier, ragazzo messicano super espansivo ed estroverso, che mi ha affiancato per un’altra oretta. Una giornata socialmente intensa ogni tanto ci vuole dopo tanti giorni di quasi-solitudine.

Un nota per chi legge: ho aggiunto una pagina riassuntiva di tutte le tappe, per avere maggiormente sott’occhio il cammino nel suo complesso. La si trova selezionando la voce “Cammino2012” nel menù in cima alla pagina.

Giorno 21, lunedì 7 maggio, La Virgen del Camino – Santibanez de Valdeiglesias

Ho trovato un pezzetto di savana sud-sahariana nel bel mezzo della Spagna del nord, per di più appena fuori dalla periferia di una grande città come Leon.

Beh, forse non è proprio corretto, probabilmente non c’è nemmeno una specie (animali o piante) in comune con la vera savana, ma mi sembrava di essere tornato nei parchi nazionali dell’Uganda, dove due anni fa ho fatto un bel safari. Pianura a perdita d’occhio, nessuna coltivazione, sterpaglie, qualche albero solitario, unico segno umano, un strada sterrata rossa. Mi è venuto istintivo osservare attentamente i cespugli e gli alberi, alla ricerca di elefanti, bufali, leoni, gazzelle. Controllavo anche la strada, aspettandomi di avvistare simpatici gruppi di facoceri. Purtroppo, niente bestie strane, ma comunque posso riportare un incontro ravvicinato con una cicogna (vedi foto).

Immerso nelle mie riflessioni, ho avuto anche un paio di episodi di paura acuta: perché ero a piedi e non al sicuro a bordo di un veicolo da safari? brividi…

Incredibilmente, ho assistito per la prima volta ad un avvincente spettacolo della natura. Un rapace, forse un falco o forse un’aquila, si è lanciato in picchiata e ha arpionato un leprotto, a poche decine di metri da me. Il tutto è durato solo pochi secondi e ovviamente non sono riuscito a immortalare nulla.

Per il resto, tappa bruttina, percorsa in quasi totale solitudine a lato di una strada asfaltata pochissimo trafficata (per fortuna), spesso sotto la pioggia.
Unica eccezione, il breve ma intenso tratto camminato con Rita, signora belga di 74 anni, ormai al suo decimo cammino. Partita da casa sua, camminerà anche questa volta per quasi quattro mesi di fila. Le piace camminare!

Bellissimo il ponte di epoca romana, ricostruito nel X secolo, che attraversa il fiume Orbigo. Con i suoi 300m è il più lungo del cammino e nei secoli è stato luogo di battaglie ed eventi leggendari, fra i quali l’epica sfida 9 contro 300 di un cavaliere medioevale originario di queste parti.

Due rapidi punti (anzi tre) sulla serata, prima di andare a letto:

  1. Roberto, l’hospitalero di Santibanez de Valdeiglesias è italiano, molto disponibile, e ci ha preparato un’ottima cena super abbondante.
  2. Abbiamo fatto un partitone internazionale a “non t’arrabbiare”, gioco conosciuto sotto diversi nomi in tutta Europa, anche se con regole leggermente diverse. Per la cronaca, ho perso miseramente.
  3. Sono appena le 22 e sono già andati tutti a letto, mah

Giorno 20, domenica 6 maggio, Reliegos – La Virgen del Camino

L’avvicinamento alla città di Leon, ultimo grande centro urbano prima di Santiago, dovrebbe essere il tratto più brutto di tutto il pellegrinaggio. La guida prospetta lunghi tratti a contatto con auto e camion, conditi con ampie dosi di asfalto. Secondo me, da quando è stato scritto il libro (2010) il percorso è variato leggermente e i tanto temuti contatti pericolosi con le auto sono davvero poca cosa, soprattutto se confrontati con quanto visto i primi giorni in Francia.

L’inizio tappa è molto simile a quanto vissuto ieri: ipnosi, ipnosi, ipnosi… Unica evoluzione, si cominciano a vedere alcune montagne innevate in lontananza. Non so se il cammino arriverà da quelle parti, ma effettivamente per i prossimi giorni sono previste alcune ascese impegnative fino a più di 1500m di quota.

Dopo Puente de Villarente, la situazione peggiora sensibilmente, con passaggi accanto alle auto, ma solo per brevi tratti. Per lo più l’avvicinamento a Leon avviene lungo una comoda strada sterrata che talvolta costeggia la statale, talvolta le evita del tutto. L’effetto ipnotico si perde, ma non è poi così male come tutti dicono.

Dopo una breve salita si domina la città. A parte la cattedrale che, anche vista da lontano, fa la sua porca figura, la prima impressione non è eccezionale: molti centri commerciali, una grande periferia, infiniti edifici anonimi.

Sono arrivato a Leon centro verso le 14, in ritardo rispetto alle mie previsioni, affamato, anzi, affamatissimo, al punto di essere quasi in crisi. Ma oggi, se ho ben capito, non è stata una domenica qualsiasi per gli spagnoli. Credo si trattasse della festa della madre, o qualcosa del genere. Insomma, erano tutti in giro, elegantissimi, a passeggiare e a far grandi riunioni di famiglia nei ristoranti. Molti locali erano chiusi a causa del giorno festivo, mentre tutti quelli aperti erano al gran completo: tutti i tavoli prenotati. Dopo essere stato respinto in almeno una quindicina di locali (ristoranti, bar, cervecerie, café) ho cominciato a preoccuparmi. Che fare? Alla fine, verso e tre e mezza, ho trovato un tavolo libero nel locale più scarso di Leon, dove ho mangiato la pasta più orrenda della mia vita.

Il centro città è molto affascinante: chiuso al traffico e pieno di turisti, famiglie, suonatori ambulanti, tavolini. Mi ha richiamato alla memoria alcuni scorci di Salisburgo e di Budapest, non tanto per l’architettura, ma per l’atmosfera generale (e forse per il mio stato d’animo).

Dopo un lungo riposo insieme all’amico della foto, ho ripreso a camminare verso la destinazione di giornata: Virgen del Camino, paesone di periferia che si raggiunge dopo 8km di asfalto in ambiente decisamente brutto e a tratti degradato. Tanto per dare un’idea, sono rimasto colpito nell’osservare innumerevoli persone che frugavano nei cassonetti alla ricerca di qualcosa di recuperabile. Forse si dedicano a questa attività solo le domeniche pomeriggio, ma comunque non è stato uno spettacolo piacevole.

Ah, la tabella dice che mancano 302.2km a Santiago!

Giorno 19, sabato 5 maggio, Moratinos – Reliegos

Ipnotico. Non saprei come altro descrivere quanto visto oggi. A parte alcune brevi tratte intermedie, i punti chiave della tappa sono stati due lunghi segmenti estremamente ripetitivi: strada asfaltata nuova completamente deserta, stradina sterrata che la affianca, fosso fra le due, alberelli stitici ogni 5 metri sulla sinistra, pianura sterminata in tutte le direzioni. Questa mattina 5km così, nel pomeriggio ben 13km senza interruzione.

Ho camminato quasi sempre da solo e devo dire che ho trovato stimolante l’estrema ripetitività del paesaggio: facilita la riflessione e, dolori a parte, conduce il sistema mente/corpo in uno stato di quasi-trance. E’ difficile da spiegare, ma ci si sente come se il tempo non avesse più senso e il gesto del camminare fosse l’unico punto fisso dell’universo. Da quanto si cammina, quanto si dovrà camminare ancora, diventano questioni prive di significato: si cammina e basta, come se dovesse essere per sempre e da sempre. Come dicevo poco sopra, ipnotico. Sono anche contento di non aver avuto bisogno di ricorrere all’estremo rimedio delle cuffiette per ovviare alla noia: non mi sono annoiato per niente! Fra l’altro, è stato un continuo alternarsi di sprazzi di sereno ed enormi sistemi temporaleschi. Mi sono bruciacchiato il naso e, allo stesso tempo, mi sono beccato in testa un numero imprecisato di grandinate.

E’ stato un po’ deludente scoprire come moltissimi pellegrini optino per una variante poco nobile. Arrivati a Sahagun, prendono direttamente il treno per Leon, perdendosi queste tratte considerate noiose e dure, ma che secondo me sono tasselli fondamentali e parte integrante del cammino. Pare che, contrariamente a quanto annunciato ieri, anche Harold sia saltato sul treno per Leon: buuuuu…

Per una fortunata coincidenza ho brevemente ritrovato Serena. La mia lunga pausa pranzo le ha permesso di riprendermi e abbiamo camminato insieme fino a El Burgo Ranero, sua destinazione odierna. Anche se i frequenti temporali ci hanno impedito di parlare a lungo, resto nuovamente stupito di come i dolori spariscano e di come i chilometri passino in fretta quando si cammina con un’altra persona. Dopo averla salutata, ho camminato per ore sul tratto ipnotico di 13km e dubito quindi che domani (e, tanto più, i giorni successivi) ci saranno altre occasioni di vedersi: peccato.

Domani ci sarà l’ingresso e l’uscita nella grande città di Leon. Mi aspetto un’esperienza di cammino poco piacevole, come nel caso di Logroño e Burgos. La guida scrive addirittura che domani ci sarà il pezzo più brutto dell’intero pellegrinaggio: un eterno tratto lungo la mega-statale, a stretto contatto con auto sfreccianti e camion puzzolenti. Mah, vedremo.

Giorno 18, venerdì 4 maggio, Villalcazar de Sirga – Moratinos

La via Aquitana. Basta citare questo nome per evocare sentimenti molto contrastanti negli ex-pellegrini che già hanno percorso il cammino di Santiago. Da una parte, timore e rispetto, dall’altra, la soddisfazione per essere riusciti a superare la difficile prova. Anche la guida mette in guardia i futuri camminatori dalle insidie di questo tratto: 17km di nulla, niente acqua, niente ombra, tutto dritto, nessun paese in vista per ore… Ovviamente le condizioni diventano proibitive in estate o comunque nelle giornate assolate, tanto che in agosto pare venga predisposto un servizio di pronto soccorso che presidia questo tratto.

Anche oggi non sono solo e ho avuto la fortuna di poter affrontare la via Aquitana in compagnia di Serena e di Harold, ragazzo mezzo canadese, mezzo tedesco, che abbiamo incontrato appena usciti dall’ostello. Nonostante la stazza non indifferente, Harold cammina spedito e condividerà con noi l’intera tappa. Sguardo un po’ spiritato, dotato di parlantina inarrestabile, è molto estroverso e pieno di interessi. Ho l’impressione che Serena soffra un po’ la conversazione continua in inglese, lingua che non domina completamente, anche perché oggi per lei, che ha cominciato a camminare solo da quattro giorni, è arrivata una piccola crisi (vesciche, dolori vari, cattivo sonno).

I primi chilometri di via Aquitana scivolano via senza problemi, fra battute, racconti, confidenze varie. Il tempo molto freddo e il cielo coperto ci hanno senz’altro aiutato a non subire le principali insidie della via, ma comunque, quando mancano 5km, avvertiamo tutti e tre la vendetta dell’Aquitana. Il vento rinforza di brutto, comincia a piovere orizzontale, la temperatura si abbassa… Per Serena inizia qui la crisi. Harold smette di parlare, diventa serio serio, inserisce le cuffiette, e prosegue a testa bassa. Anch’io ho i miei bei problemi per un improvviso e violento litigio con il mio zaino. Forse il vento che spinge forte di lato mi cambia il bilanciamento e il vecchio dolore fra le scapole si ripresenta con intensità mai provata. Stringendo i denti e affamati come lupi mannari arriviamo comunque verso ora di pranzo alla fine della prova e ci fiondiamo a svaligiare il bar del paesello.

Il pomeriggio è più tranquillo, anche se i paesaggi continuano ad essere monotoni: quasi ovunque il cammino consiste in una stradina sterrata che costeggia strade asfaltate. Fortunatamente il terreno ondulato e molto verde che ci circonda possiede una certa bellezza e ci aiuta ad alleggerire la fatica.

Per Serena e Harold la tappa finisce a Terradillos de los Templarios, loro obiettivo di giornata, mentre io ho in programma di camminare per altre 2 o 3 ore. Un’altra magia del cammino è il modo in cui ci siamo salutati, da pellegrini. Forse ci rivedremo domani, forse in un futuro più lontano, forse non ci vedremo mai più. Dopo due giorni a stretto contatto poteva essere complicato o difficile separarsi, ma tutto si è risolto in un semplice abbraccio e nel saluto del pellegrino: Buen Camino!

Pochi chilometri dopo ho cominciato e sentire i primi tuoni e una valanga di nuvole nerissime in avvicinamento. Stavo transitando per Moratinos, un paesino di 22 anime che sulla guida non è nemmeno citato e che, stando ai cartelli segnaletici, non offrirebbe alcun tipo di sistemazione. Assorto in temporaleggianti riflessioni, ho notato un nuovissimo agriturismo e mi sono lasciato tentare. Passerò questa notte in una stanza tutta mia, con bagno privato e cena di qualità. I gestori sono una coppia di tedeschi, 2 dei 6 stranieri residenti in Moratinos: la pulizia e la cura per i dettagli che ho trovato sono davvero sorprendenti. C’è addirittura il balsamo per il massaggio ai piedi e tutta una serie di prodotti utili per il pellegrino. Mi hanno anche regalato un libricino in italiano con tutte le distanze da Santago. Posso quindi affermare che dovrò camminare ancora per 374.1km!

Giorno 17, giovedì 3 maggio, Puente Fitero – Villalcazar de Sirga

Dopo la benedizione per il cammino ricevuta a San Nicolas, un piccolo gruppetto di (relativamente giovani) pellegrini è partito per le mesetas. Elisa e Serena, le due ragazze italiane conosciute ieri, Tim, simpatico ragazzone tedesco che ride sempre, Jolanda, ragazza lettone che ormai da dieci giorni condivide il cammino con Elisa, ed il sottoscritto. Dopo tanti giorni di cammino (quasi) solitario, è un piacere muoversi con altre persone. Abbiamo però obiettivi differenti e, mentre Elisa, Tim e Jolanda puntano ad una micro-tappa di 15km, Serena ed io abbiamo un programma più impegnativo. Ci separiamo quindi al primo paesino e affronto con Serena le prime mesetas.

Mi aspettavo un’altra tappa a base di mesetas, pace e tranquillità, ma già dopo una decina di chilometri il paesaggio cambia. Il cammino affianca per lunghissime tratte una strada dritta dritta, mettendo a dura prova il pellegrino che non riesce a valutare le distanze e a intuire come dosare lo sforzo.

Serena è una quasi maratoneta e scopro con piacere di aver trovato un’altra persona con il mio stesso passo. In generale, lei punta a tappe più brevi delle mie, ma per oggi abbiamo la stessa destinazione. Camminando insieme si verifica anche un altro effetto: tanti dolorini spariscono o, più semplicemente, non si notano. La conversazione con Serena (in italiano, finalmente) è molto varia e piacevole, e il tempo è volato. Siamo arrivati a destinazione molto presto e, per la prima volta, vivo il pomeriggio del pellegrino medio. Chiuso insieme agli altri nel locali più caldi a scrivere il diario, massaggiarsi i piedi, discutere di tappe, provenienze, cibi, dolori, motivazioni ecc. Niente male direi, anche perché fuori diluvia.

Giorno 16, mercoledì 2 maggio, Rabé de las Calzadas – Puente Fitero

La mia prima camminata nelle mesetas: una meraviglia! La guida parla delle mesetas come se fossero un qualcosa di orrendo e noioso, da superare stringendo i denti, senza affogare nella noia. In realtà l’impressione mia e degli altri pellegrini con i quali ho parlato oggi è molto differente. Il senso di pace e solitudine che si prova camminando nelle mesetas è quasi irreale. Lo sguardo si perde in ogni direzione, vedendo tutto uguale: enormi distese ondulate di verde, cielo blu, e nient’altro se non la strada da percorrere. Sembra di essere su una barca in mezzo al mare, solo che al posto del blu dell’acqua, c’è il verde del frumento. Il senso di “niente in vista” è esattamente lo stesso.

Le mesetas sono dei grandi altipiani pianeggianti che si sollevano di un centinaio di metri rispetto al resto. Non mi è chiarissimo il perché, ma nessuno abita sulle mesetas e non ci sono edifici di alcun tipo. La mancanza di case e altre costruzioni potrebbe far pensare ad un ambiente selvaggio, ma niente è più lontano dal vero. Ogni metro quadro è infatti perfettamente coltivato e nulla è lasciato al caso. Questo contrasto fra artificiale e disabitato, unito al costante ed incessante canto di innumerevoli uccelli, rende l’atmosfera decisamente magica. Stando alla guida, sulle mesetas il clima è estremo, con enormi escursioni fra giorno e notte, fra estate e inverno. Noi siamo stati molto fortunati a trovare un giornata bella e fresca; probabilmente in estate il frumento ingiallito dal Sole e il caldo estremo devono dare ai pellegrini l’impressione di trovarsi in un inferno senza fine.

Questa mattina leggendo la guida ho scoperto che a Puente Fitero, nell’Ermita di san Nicolas, c’è un rifugio gestito da italiani. Ho così deciso di tentare il tappone da 40km anche se, vista la limitatissima capienza del rifugio (solo 10-12pl), il rischio di non trovare posto era altissimo. Sono arrivato come sempre relativamente tardi e, avvistando l’Ermita di San Nicolas ho subito capito che si trattava di un posto speciale. Senza tante speranze, mi sono avvicinato ed è subito stato chiaro che non solo era già pieno, ma che numerosi pellegrini avevano già provato a trovare alloggio senza successo. Non appena però i simpatici e generosi gestori hanno capito che sono italiano, si sono fatti in quattro per trovare una soluzione: tutto sommato un pellegrino singolo si può sistemare ovunque. Al momento del timbro della credenziale si sono accorti che sono di Trento e immediatamente Franco, uno dei gestori, ha cacciato un urlo di gioia: anche lui è trentino. Per farla breve, alla fine sono stato ospite di Franco, nella stanza riservata agli hospitaleros, evviva!

Il rifugio non è come gli altri ostelli. Per prima cosa è ricavato… in una chiesa. Da una parte l’altare, in mezzo un bel tavolone, dall’altra i letti. Niente elettricità, illuminazione a candele. I gestori fanno parte della Confraternita italiana di San Jacopo e ci hanno accolti e poi salutati il giorno dopo con dei riti suggestivi. Lavanda dei piedi con presentazione e preghiera speciale prima di cena. Benedizione e abbraccio prima della partenza. I gestori, Vittorio, sua moglie Gianna, e Franco, sono molto entusiasti del cammino e sono sempre prodighi di profonde riflessioni, consigli e divertenti aneddoti.

Oltre ai gestori, ho anche conosciuto due giovani pellegrine italiane, Elisa e Serena, casualmente anche loro ospiti del rifugio e ben inserite nella comunità italo-internazionale che si è formata durante il pomeriggio. Ci sarebbe molto da scrivere sulla cena, sul piacevole dopo-cena di gruppo e, più in generale, sull’esperienza a San Nicolas, ma non ho abbastanza tempo per farlo. Conserverò comunque sempre degli ottimi ricordi delle persone incontrate e, perché no, del rifugio stesso.

Giorno 15, martedì 1 maggio, Atapuerca – Rabé de las Calzadas

Come qualche giorno fa a Logroño, anche la tappa di oggi si può riassumere come segue: avvicinamento a, attraversamento di, e allontanamento da una grande città, in questo caso Burgos. Un po’ di passi su asfalto li ho fatti ma, considerato il contesto, poteva andare molto peggio. Chi ha progettato il percorso del cammino a Burgos aveva bene chiaro in testa che “asfalto = male” e appare evidente che sono stati fatti molti sforzi per minimizzare i danni. L’avvicinamento è quasi tutto su sterrato (fangoso…), il centro è ovviamente su terreno duro, l’uscita dalla città è per la maggior parte su asfalto. Come è naturale, le zone periferiche non sono esattamente una bellezza, anche se in alcuni casi ho trovato edifici nuovi e colorati (vedi foto).

Da sottolineare che, pur in presenza di forte vento e temperature molto basse (minima 1°, massima 12°), oggi è stata una bellissima giornata e questo magari ha aiutato nel mettere in buona luce le periferie urbane.

A proposito di periferie urbane, ho trovato un losco negozietto indiano, di quelli che hanno di tutto un po’ – dal pane alle schede internazionali, dai componenti per computer ai peperoncini – aperto anche oggi primo maggio. Il gestore parlava un ottimo inglese e, dopo aver lottato per quasi un’ora con la burocrazia, sono finalmente riuscito a comprare e attivare una sim spagnola per il mio telefono. Ora in teoria dovrei poter aggiornare il diario ovunque mi trovi, senza dipendere più dai bar dotati di wifi.

Il centro di Burgos è stupendo e ricchissimo di storia. La cattedrale (foto), i musei, le viuzze, le altre chiese, le piazze… Come in molti fanno, bisognerebbe fermarsi a Burgos un giorno in più solo per visitarla. Io decido però di dedicare solo un paio d’ore all’esplorazione e poi riparto verso Santiago.

A cena eravamo una decina di persone e il mio vicino di sedia Kim Jin, un chiacchieronissimo ragazzo americano di origine coreana, è stato tutto il tempo al centro dell’attenzione, raccontando molto di sé, ma stimolando comunque la partecipazione di tutti. Jin è il secondo americano che mi consiglia di guardare il film “The way”, uscito nelle sale americane un paio di anni fa. Interamente dedicato al cammino, pare abbia creato una nuova generazione di pellegrini made in USA: sicuramente Jin è tra questi.

Un aspetto che è emerso (e che emerge sempre) è l’estrema variabilità delle persone che si incontrano, da ogni punto di vista. Bella la coppia di ragazzi di Monaco che sta facendo il cammino con la figlia di 8 mesi. Usano un po’ lo zaino portabimbi e un po’ un carretto a rotelle tipo quello che si usa per le biciclette. In questo caso però lo agganciano in vita e trainano la bimbetta. Sono partiti proprio oggi da Burgos e questa è la loro prima notte. Spero che superino tutte le difficoltà che incontreranno e che non si scoraggino per il freddo e il maltempo previsto per giovedì e venerdì (domani invece dovrebbe essere bello, come oggi). Si può vedere la mamma, Karole, alla mia destra nella foto.

Stando alla guida, domani dovrei attraversare le prime mesetas. Non so bene cosa aspettarmi, se non che dovrebbe essere un’esperienza nuova e fra le più caratterizzanti di questo tratto del cammino.

Giorno 14, lunedì 30 aprile, Belorado – Atapuerca

Quando penso a quello che ho fatto questa mattina, mi vengono in mente le ambientazioni da spaghetti western o i fumetti tipo Tex Willer o Ken Parker. La scena madre prevede l’eroe solitario che entra in città attraverso la strada principale, lentamente, senza fretta. Nessuno in giro, le finestre si chiudono, i cittadini per bene spariscono. I cattivoni invece possono essere in due posti: o accanto alla porta del saloon, o sdraiati sulla poltrona del barbiere. Questi ultimi solitamente interrompono la rasatura (lasciando metà viso bianco di crema), corrono al saloon, e sono i primi a rimetterci le penne.

Come i cattivoni dei film, questa mattina, per la prima volta in vita mia, sono andato da un barbiere per farmi radere. A causa di alcune difficoltà linguistiche, la rasatura è stata completa e, dopo quasi 18 anni, sono rimasto senza pizzetto (vedi foto) E’ stata un’esperienza piuttosto piacevole e interessante, ricca di ritualità e gesti probabilmente codificati in un apposito galateo dei barbieri. Al mio ritorno dal viaggio penso farò qualche ricerca in proposito. Ovviamente non sono stato cattivone fino in fondo: non ho infatti maltrattato alcun eroe solitario (per fortuna non ne ho visti). Piccola nota per il futuro: peluqueria in spagnolo significa parrucchiera, mentre barbiere si traduce con peluqueria de caballeros. Ovviamente l’ho imparato dopo essere entrato – zaino, mantella e tutto il resto – in un negozio pieno di signore in attesa di permanente.

La tappa oggi è stata bellissima e molto varia, come indicava la guida. Un primo tratto quasi pianeggiante e verdissimo fino a Villafranca, da dove poi iniziano i Montes de Oca, un altopiano ricco di boschi che nel medioevo rappresentava il passaggio più pericoloso del cammino: lupi, briganti, e altri pericoli naturali.

Ora i Montes de Oca sono del tutto innocui e, a parte un paio di chilometri molto fangosi, il cammino li risale e attraversa grazie ad una strada sterrata molto larga. Il punto più alto della tappa, l’alto della Pedraja (1130m), si raggiunge tramite un salita brevissima e poco pendente (3km per circa 200m di dislivello). Nonostante questo, è molto temuta dai pellegrini e ne ho conosciuti parecchi che hanno preferito chiamare il taxi… mah

Un simpatico regalo che mi hanno fatto i Montes de Oca è la grandine: niente di drammatico, chicchi minuscoli, ma pur sempre grandine. Molto utile anche in questo caso il cappello.

Arrivato a San Juan de Ortega, anticamente unico rifugio sicuro sui Montes, mi sentivo ancora bene e così ho deciso di scendere verso la grande città di Burgos, fermandomi nel paesino di Atapuerca, dove ho trovato un ottimo ostello e un po’ di gente giovane. Una coppia di inglesi ventenni e una ciclista uruguaiana molto simpatica. Ora smetto di scrivere e torno in loro compagnia.