Giorno 13, domenica 29 aprile, Cirueña – Belorado

Anche se, nel complesso, non sono rimasto particolarmente impressionato dalla regione Rioja, tutto sommato questa mattina ha dato il meglio di sé (vedi foto). Con il verde che domina, distanti montagne in tutte le direzioni, cielo livido, fasci di Sole che tagliano le nubi, durante la prima ora di cammino mi sono perso in contemplazione.

L’arrivo nella cittadina di Santo Domingo de la Calzada mi ha poi riportato ai consueti paesaggi urbani. In una piazzetta di Santo Domingo c’è uno strano monumento a forma di bicicletta. Mentre lo osservavo, ho incontrato per la prima volta dal vivo un gruppetto di domingueros. Come mi hanno insegnato gli amici spagnoli qualche giorno fa, i domingueros sono essenzialmente i turisti della domenica. Spagnoli che la domenica si alzano presto e fanno un tappa del cammino, un po’ come quando noi facciamo la classica gita domenicale in montagna. Il termine ha una connotazione negativa e derisoria, anche se mi pare non ci sia nulla di male, anzi. Beh, tornando ai domingueros, mi hanno fatto un bell’interrogatorio – da dove vengo, uh, paese latino, uh, ci capiamo, uh, dove vai, oh, dove vai oggi, ah, perché lo fai, eh – e poi abbiamo scattato qualche foto commemorativa.

Poco prima di pranzo ho superato un altro confine fra regioni della Spagna. La Rioja è finita e inizia la Castilla y Leon. Come si può vedere dal cartellone installato nei pressi del confine, il cammino resterà ora per molti giorni in questa regione. La prossima volta che passerò un confine regionale mancheranno solo 155.4km a Santiago. Mi dispiace non sapere quanti chilometri mi mancano ora, ma vedrò di ricavare anche questa informazione: a occhio direi sui 650km, ma potrei sbagliare anche di molto.

Il tempo oggi è stato clemente e i tanto temuti goccioloni non si sono ripresentati, rendendo la facile tappa di oggi molto rilassante. Ho fatto il conteggio dei giorni e, se d’ora in poi dovessi seguire esattamente la guida, arriverei a Santiago il 19 maggio (ho il volo di ritorno verso l’Italia la sera del 21). Rispetto alla guida, finora ho tenuto una media un po’ superiore e ho già guadagnato due o tre giorni. Se da qui a Santiago riuscirò a recuperarne un altro paio, dovrei riuscire ad arrivare anche a Finisterre a piedi. Male che vada prenderò comunque un autobus, non sono qui per fare le corse.

Come preannunciato ieri, oggi sono stato bravo (!?!) e stasera mi sono trovato una postazione super tranquilla in albergo: doccia con idromassaggio, stanzone dove disseminare e fare finalmente asciugare l’equipaggiamento, lavatrici e asciugatori. Ho lavato tutto e ormai sono pronto anche psicologicamente per domani. Conto infatti di arrivare a San Juan de Ortega che, stando alla guida, è uno dei luoghi più significativi e suggestivi del cammino. Raggiungibile dopo lunghe salite sui Montes de Oca, è provvisto di un rifugio per pellegrini famoso per essere parecchio spartano.

Piccola nota. Potrei scrivere ore e ore sulle persone che incontro tutti i giorni, da dove vengono, perché sono qui, e molto altro, ma non vorrei trasformare questo diario in una noiosa lista. Mi limiterò d’ora in poi a scrivere solo degli incontri più significativi e di quelli che hanno ricadute importanti sul mio cammino.

Aggiornamento 30 aprile 2012: mancavano in realtà solo 540km (vedi foto)!

Giorno 12, sabato 28 aprile, Navarrete – Cirueña

E’ ufficiale. Da oggi posso dire che tutti gli oggetti di un certo peso che mi porto sulle spalle mi sono stati necessari (o perlomeno molto utili) almeno una volta.

Ero molto dubbioso sull’utilità del poncho gigante: non pesa moltissimo, probabilmente meno di due etti, ma occupa uno spazio non trascurabile. Dopo l’esperienza dei primi giorni (bagnati) sui Pirenei, mi ero convinto che giacchetta impermeabile anti-vento, cappello di buona qualità e copri-zaino fossero la soluzione a tutte le situazioni con acqua che cade dal cielo. Oggi ho scoperto di avere torto. La pioggerellina che verso le 11 di questa mattina ha iniziato a scendere sulle teste di noi pellegrini si è presto trasformata in goccioloni e non ha dato tregua per ore ed ore. Ormai il riflesso di applicare il copri-zaino e indossare il cappello è talmente automatico che già dopo meno di un minuto dalle prime gocce, mi sentivo sicuro e pronto. La pioggia era più forte del solito… molto più forte… gocce grosse e molto inclinate… dopo dieci minuti mi sono accorto che qualcosa non andava. I pantaloni erano così bagnati che l’acqua mi aveva inzuppato anche le mutande e la sensazione non era né piacevole, né sostenibile per ore e ore. Il tracciato era completamente privo di ripari e l’unica possibilità era affrettarsi a macinare i 3km che mancavano a Najera, la città dove avevo previsto di pranzare. Lì mi sono immediatamente fiondato nel primo bar che ho trovato (un misto fra ristorante cinese e bar spagnolo) e ho fatto quasi due ore di pausa. Al momento di ripartire ho scavato in fondo allo zaino ed ho estratto il famoso “inutile” poncho gigante. E’ stata la salvezza: oltre a coprire perfettamente me e lo zaino, era lungo a sufficienza da arrivare quasi alle ginocchia. Sotto la pioggia a goccioloni ho fatto tutti i rimanenti 15km della tappa senza nemmeno bagnarmi troppo: evviva il poncho!

Non posso dire molto del paesaggio di oggi. Per la maggior parte, ho visto esattamente quello che si può ammirare nella fotografia: un pezzo di poncho, le mia gambe piene di fango, i miei scarponi pieni di fango e… tanto fango. Sono stato comunque contento, sempre meglio dell’asfalto di ieri. Comincio ad intuire il perché della scelta di asfaltare il cammino: qui in Rioja, o si asfalta, o alla prima pioggia la strada si trasforma in un mare di fango semovente.

Scherzi a parte, la tappa di oggi non è stata malaccio: niente asfalto e nuovamente paesaggi di campagna molto ondulati, con vigneti ovunque. A futura memoria, sottolineo che, per quanto visto finora, l’unico tratto orrendo del cammino è quello fatto ieri, fra Viana e Navarrete: 22km di asfalto e cemento, con decadenti paesaggi urbani e industriali.

Il paese fantasma di Cirueña dove mi fermo questa notte merita due parole. Quando l’ho visto ho subito notato qualcosa di strano. Case nuovissime e molto belle a perdita d’occhio, golf club, parchi giochi, piscina pubblica all’aperto, strade ben studiate. Solo, nessuno in giro, niente auto, tutte le imposte chiuse con cartelli “SE VENDE” dappertutto. In cima al paese, un gruppetto di case vecchie e male in arnese rappresentano probabilmente il nucleo originario del paese e l’ostello si trova proprio qui. L’hospitalero mi ha spiegato che tutto il paese è il frutto di una speculazione edilizia fatta con soldi “negri” e che nessuno è interessato a viverci, nemmeno lui (infatti abita in un paese “vero” poco distante). Da anni tutto è in vendita, ma non ci sono compratori, e nel giro di qualche tempo andrà tutto in malora. A quanto dice, sembra ci siano molti altri casi simili in Spagna.

L’ostello mi ha dato anche l’occasione di promuovere un altro oggetto del mio equipaggiamento dallo stato di “probabilmente inutile” a quello di “utile”. Quando sono arrivato era infatti già tutto esaurito, tutti i letti già assegnati. L’hospitalero, proprio grazie allo stuoino, per questa notte mi lascerà dormire per terra: evviva lo stuoino! La casa non è riscaldata e le finestre molto vecchie lasciano passare il freddo dall’esterno. Questa notte secondo me avremo non più di 5 / 10 gradi in camera: ecco quindi che anche la scelta di portarmi il sacco a pelo pesante non è stata poi così sbagliata.

Questo ostello è particolarmente spartano e non nascondo che avrei voglia di qualche comodità… Se sono bravo, domani mi cerco un albergo vero e proprio, anche perché sono previsti altri tre giorni di freddo e pioggia molto intensa.

Giorno 11, venerdì 27 aprile, Torres del Rio – Navarrete

Sono talmente abituato alla bellezza dei paesaggi che questa mattina, durante i primi 10km, non mi sono nemmeno accorto di quel che mi circondava. La vigne stavano diventando sempre più frequenti rispetto alle altre coltivazioni, ma la bellezza restava intatta. Questo cambiamento non deve stupire, del resto la regione spagnola del vino, la Rioja, si avvicinava sempre di più.

Dopo Viana però la musica cambia. Il confine con la nuova regione cade proprio nella periferia urbana del capoluogo Logroño e l’impatto non è certo dei migliori. A parte l’autostrada, il passaggio nella zona industriale, e le costruzioni un po’ squallide, sembra che i responsabili del cammino per questa regione abbiano fatto una scelta molto astuta: preparare una bella pista apposta per i pellegrini e… asfaltarla tutta! Ecco quindi che i 22km che separano Viana da Navarrete, in teoria facili e pianeggianti, diventano un calvario per piedi e articolazioni. Camminare a lungo su superfici dure come cemento e asfalto aumenta infatti di molto il rischio di tendiniti, vesciche e altri accidenti. Purtroppo non c’è modo di trovare percorsi alternativi e, quando comincio a sentire dolorini sospetti, l’unico soluzione che mi viene in mente per limitare i danni è di rallentare di brutto.

Rallento a tal punto che le signore anziane in passeggiata pomeridiana mi superano senza pietà e osservano stupite il sottoscritto che arranca in pianura come se stesse scalando il Monte Bianco: che smacco!

Come al precedente confine, anche nella nuova regione i paletti che segnano il cammino cambiano aspetto (vedi foto). Peccato che siano facile preda dei vandali che si sono divertiti a rimuovere tutti i riquadri.

Il paesaggio resta abbastanza squallido, tipo periferia urbana, fino a destinazione, nonostante il passaggio in un bel parco che comunque non riesce a nascondere l’estesa zona industriale della città.

Poco prima dell’arrivo trovo nuovi amici, anche se in questo caso più inquietanti del solito e parecchio macabri. I pellegrini hanno costruito delle piccole croci di legno e le hanno appese lungo la rete metallica che separa il cammino dall’autostrada (vedi foto). A me l’effetto non piace per niente ma evidentemente non per tutti è così: ci sono infatti almeno due chilometri di croci… bah.

L’ostello è piccolino e, con un pizzico di fortuna, riesco a prendermi l’ultimo posto libero. A quanto pare, era l’ultimo letto rimasto in tutta Navarrete, hotel compresi. Comincio a pensare che la mia strategia di camminare fino a tardi senza preoccupami troppo dei posti letto prima o poi mi porterà sorprese poco positive.

A cena mi infilo in un bel ristorante e… chi trovo? Lidio, che oggi si è sorbito il mio stesso tappone, bravo! Abbiamo fatto una bella chiacchierata, terminata presto solo a causa della chiusura alle 22 dell’ostello. E’ proprio vero che sul cammino si riesce a parlare anche con persone conosciute da poco o da pochissimo di argomenti per niente banali e di natura personale.

L’asfalto mi ha portato la prima vescica – prontamente curata – e dolorini accesi alle piante dei piedi. Domani avrei in programma di arrivare a Cirueña, distante da qui circa 34km. Se però ci sarà ancora asfalto, credo dovrò fermarmi prima. Speriamo bene.

Giorno 10, giovedì 26 aprile, Villatuerta – Torres del Rio

Poco dopo l’inizio della tappa si passa da Irache, dove è installata l’unica fontana del vino del mondo. Anche se sembra una leggenda, in realtà è tutto vero. Un rubinetto per l’acqua, l’altro… per il vino! Tutti ovviamente provano e il vino sembra anche piuttosto buono, dopotutto si tratta di una mossa promozionale di una famosa cantina che ha gli stabilimenti proprio lungo il cammino. Consapevole che una webcam trasmette in diretta su internet quello che fanno i pellegrini nei pressi della fonte, mi produco nella più classica bevuta a canna. Peccato che l’ultimo sorso mi sia andato di traverso e che le mie convulsioni, oltre a scatenare l’ilarità dei presenti, siano state osservate da centinaia di curiosoni in tutto il mondo. Spero almeno che non ci sia l’audio…

Il terreno della tappa è molto simile a ieri: campi verdi e gialli, vigne, casali qua e là, strade di campagna, e tanta quiete. L’ideale per pensare senza distrazioni. Molta gente sul cammino, ma inaspettatamente tutti sono per lo più silenziosi e concentrati a mettere un piede davanti all’altro.

Torres del Rio è un bel paesino ricco di ostelli e per una buona ragione: tantissimi pellegrini decidono di fare tappa qui. L’ostello è quasi completamente pieno e per la prima volta da 10 giorni a questa parte ho incontrato degli italiani, evviva! Si tratta di Giuseppe e Lauretta, coppia veneta dell’età dei miei genitori, e di Lidio, torinese sulla cinquantina che camminerà fino a Santiago. Al momento di partire da Saint Jean erano tutti alla prima esperienza per quel che riguarda vacanze vissute in modo spartano. Abituati agli agi degli alberghi e dei servizi che ormai ci sembrano irrinunciabili, sono partiti all’avventura.

Giuseppe e Lauretta fin dalla prima notte a Roncisvalle si sono buttati sugli ostelli, ricavandone impressioni contrastanti, ma senza subire traumi o contraccolpi devastanti. Ormai, dopo diverse notti, sono abituati alla nuova vita e mi sembra si trovino molto bene. Devo dire che forse Giuseppe resta ancora un po’ intollerante verso i comportamenti “strani” di alcuni stranieri, tendendo ad interpretarli come maliziosi, quando invece derivano semplicemente dalle inevitabili differenze culturali. Sicuramente il cammino contribuirà ad ammorbidire il suo punto di vista. Sono comunque una coppia molto aperta a conoscere persone nuove, di qualunque nazionalità, e resto stupito da come conoscano già quasi tutti gli oltre 50 ospiti dell’ostello.

Lidio è invece oggi alla prima notte in ostello. Finora è infatti sempre stato in albergo, inorridito all’idea di non poter disporre di privacy, calma e servizi. Non so bene perché questa sera abbia deciso di stare con noi, ma sono sicuro che se insisterà con gli ostelli, arriverà a Santiago diverso, più consapevole delle sue capacità di adattamento. Ci ha divertito molto con il racconto della sua esperienza a Saint Jean, dove i volontari pesano gli zaini dei pellegrini, suggeriscono cosa togliere, e aiutano a rispedire il superfluo in Italia. Lidio è partito da 16kg, per poi arrivare a 12kg dopo la cura dimagrante. Curioso l’elenco degli accessori inutili che gli hanno fatto togliere, a partire dall’asciugacapelli (!?!), l’ombrello, accessori ortopedici portati solo per precauzione e altro che non ricordo. Era particolarmente fiero di essere riuscito a potarsi dietro (è stato irremovibile con gli increduli volontari) uno spazzolino pneumatico a batteria del peso di almeno 4 etti: notevole direi!

Durante la cena insieme siamo passati da argomenti leggeri (teorie del complotto e rettiliani, due dei miei vecchi cavalli di battaglia), alla domanda chiave che spesso esce quando la conoscenza fra camminatori si approfondisce: perché lo fai? Probabilmente nessuno di noi ha risposto davvero, restando sul classico “mi piace camminare”, “non è per la destinazione ma per il cammino”, “la tappa più brutta è l’ultima” ecc. Si intuisce però che Lidio ha qualcosa che lo tormenta, un certo pessimismo generalizzato, una volontà di trovare risposte a domande forse non ancora poste. Sicuramente però si illumina quando ci spiega che sua moglie e sua figlia lo aspetteranno a Santiago il giorno del suo arrivo.

Purtroppo perderò tutti e tre già a partire da domani. Loro faranno infatti tappa a Logroño, mentre io proseguirò per altri 14km fino a Navarrete. Buonanotte!

Giorno 9, mercoledì 25 aprile, Tiebas – Villatuerta

Vento, tanto vento. Di notte, quando vetri e muri dell’ostello di Tiebas ululavano. Di giorno, quando sono partito per l’ultima mezza giornata sul cammino aragonese. Niente di strano da queste parti, è da quando sono finiti i Pirenei che tutte le cime, in tutte le direzioni, sono zeppe di impianti eolici; evidentemente ci sono venti forti, costanti e frequenti. Quello di questa mattina però era particolarmente feroce, al punto da ricordarmi il maestrale della Sardegna e della Corsica. Stessa violenza, stessi ruggiti, stesse difficoltà a rimanere in piedi durante le folate peggiori. Bellissimi i disegni creati dal vento nei campi di grano. Ho girato un breve filmato che, nelle mie intenzioni, avrebbe dovuto catturare le mie impressioni del momento. Ovviamente non ci sono riuscito, comunque, per chi vuole vederlo, è qui (mp4, 9.5M).

Verso ora di pranzo ho camminato gli ultimi metri del cammino aragonese e sono arrivato a Puente la Reina dove avviene la fusione fra i due cammini. Visto che l’ora era propizia e che sono passato davanti ad un ristorante promettente, ho divorato un menù del pellegrino anche a pranzo. Ottima qualità e notevole quantità, per il solito prezzo di 10 euro, tutto compreso. L’unico appunto sul vino: lo servono sempre ghiacciato. Che sia per nascondere qualche difetto?

Dice la guida: Attenzione per voi che vi siete abituati a godere di silenzio, solitudine e pochi incontri, l’impatto con il cammino proveniente da Roncisvalle (soprattutto in primavera ed estate) potrà risultare un po’ traumatico. Effettivamente, mentre pranzavo ho visto passare numerose comitive, ma quando ho ripreso il cammino, verso le 15, quasi tutti avevano già raggiunto la destinazione per la notte. Ho quindi passato il pomeriggio camminando in solitudine, attraverso campi battuti dal vento, calpestando tratti di una antica strada romana, godendo di viste spettacolari.

Pochi minuti dopo aver ripreso a camminare, questo cartello (vedi foto) mi ha fatto riflettere. Probabilmente è lì solo per scherzo ma, oltre a girarmi fisicamente, ho ripensato ai bei momenti di quest’ultima settimana e non solo. Mi sono seduto e per un po’ ho pensato…

Ogni tanto a bordo strada si vedono oggetti strani… Ho tutta una serie di fotografie su questo genere che magari pubblicherò a sprazzi in futuro.

Due parole sull’ostello di questa sera. Intanto, stando alla guida, non dovrebbe nemmeno esistere; in Villatuerta è infatti indicato solo un rifugio privato. Ricavato da un vecchio edificio un po’ malmesso (quasi rudere in alcuni punti), l’ostello è gestito da Simone, ragazza brasiliana di lontane origini italiane. Il primo punto da sottolineare è proprio Simone, la sua gentilezza, la sua premura, la sua accoglienza. Ad esempio, quando uno degli ospiti ha raccontato di avere un sacco a pelo troppo leggero per il freddo di questi giorni, gli ha fatto trovare due borse con acqua calda nascoste sotto al cuscino. Il secondo punto è proprio l’ostello in sé. Lungi dall’essere un rudere, la struttura ha carattere e sembra cosa viva. Ci sono tutti i servizi dei migliori ostelli, con un’attenzione ai particolari però unica. Ad esempio, le docce hanno uno speciale diffusore larghissimo che simula l’effetto pioggia. Cosi simili li avevo visto solo negli alberghi a 5 stelle in Cina o durante i viaggi negli USA. I colori degli interni sono vivaci e i luoghi per socializzare hanno l’aria non solo di essere utilizzati regolarmente, ma anche di stimolare con la loro semplicità l’incontro con gli altri. Ho scattato alcune fotografie, ma decisamente non rendono giustizia del fascino del posto, quindi non le pubblico. Da qualche discorso mi sembra di aver capito che Simone e suo marito Miguel hanno difficoltà a far quadrare i conti per quel che riguarda l’ostello. Spero proprio che non debba chiudere, sarebbe una grande perdita.

Stando alla guida, le prossime tappe saranno tutte su terreno facile, con posti di ristoro e possibilità di alloggio ogni pochi chilometri. La mia strategia sarà quindi di iniziare a camminare la mattina, fermarmi quando ho fame o sono stanco e, verso sera, decidere dove fermarmi, seguendo istinto e ispirazione del momento.

Giorno 8, martedì 24 aprile, Monreal – Tiebas

Dunque, oggi compio la prima settimana di cammino: partivo infatti da Trento proprio martedì scorso. Come anticipato ieri, ho deciso di fare una tappa molto breve, solo una quindicina di chilometri, e di godermi una mezza giornata di riposo. Mi sono fermato e Tiebas, dove il nuovissimo ostello municipale offre lavatrice, asciugatrice, e doccia calda garantita. Non l’ho scritto, ma era da tre giorni, in tre diversi ostelli, che non riuscivo a trovare l’acqua calda e dovevo accontentarmi di una rapidissima doccia fredda, brrr…

Oggi per la prima volta ho sempre camminato con qualcuno, in particolare con i compagni con i quali ho passato la serata di ieri. Sono andato decisamente più piano del solito e il tempo dedicato alla riflessione si è ridotto, ma tutto sommato è un’esperienza che mi è famigliare, simile alla classica gita in montagna fra amici.

Nella parte iniziale abbiamo superato un gruppo di cinque australiani, tutti fratelli e sorelle, decisamente bene in carne. Uno di loro, che era comunque in grado di camminare meglio degli altri, per un’oretta è stato con me e abbiamo chiacchierato a lungo. Loro viaggiano comodi, dormono sempre in albergo, stanze singole, facendosi trasportare da taxi specializzati gli zainoni da 20kg. Inoltre, quando c’è una salita significativa, chiamano il taxi e si fanno lasciare più avanti… Hanno fatto il cammino francese con lo stesso stile alcuni anni fa e ora fanno anche quello aragonese. A parte queste bizzarrie, sono gente simpatica e aperta, che ama parlare a voce molto alta. Probabilmente gli altri amici di ieri, in cerca di pace e tranquillità (per alcuni di loro oggi è l’ultimo giorno di cammino), ne saranno stati infastiditi, ma la discussione non è stata mai banale. Sono tutti e cinque ingegneri o professori universitari, e una di loro lavora per un’azienda neozelandese specializzata nel recupero di relitti sommersi. Pare che si occuperanno anche della Costa Concordia e che per questo lei si trasferirà in Italia almeno per un anno.

La discussione è poi scemata quando è iniziato il tratto più impegnativo della giornata. Un sentiero di circa 8km che in condizioni normali sarebbe molto suggestivo e piacevole (bellissimo panorama su campi e colline, con Pamplona in lontananza), ma che con la pioggia degli ultimi giorni si è trasformato in una scivolosa pista di fango. Ogni passo affonda in 3cm di fango, la scarpa perde aderenza e si sposta in una direzione a caso di 5cm, poi bisogna contrastare il risucchio… insomma, 8km parecchio faticosi che hanno ammazzato gli australiani e indebolito gli spagnoli. Yasuo, il simpatico 68enne giapponese, saltellava invece agile ed è arrivato a Tiebas con le scarpe quasi pulite… mah, misteri orientali.

Arrivati poco dopo le 12 a Tiebas, abbiamo pranzato insieme nel bar del paese e ci siamo salutati definitivamente, per lo meno con chi oggi termina l’esperienza di cammino. Il signore giapponese proseguirà invece fino a Leon e lo raggiungerò probabilmente nel giro di qualche giorno.

Il fisico!

Visto che ho un po’ di tempo – sono solo in ostello, fuori piove e sto aspettando che la lavatrice finisca – fisso qualche nota sul mio stato fisico. Saltare questa parte se non interessati.

Punto primo: nessuna vescica finora, evviva! A parte il fatto che le scarpe erano già collaudate e che, in generale, sono poco soggetto, credo il merito debba andare anche ai calzini che ho preso recentemente. Non ricordo se li ho già citati, ma ne sono entusiasta. Erano anni che arrivavo a fine giornata con i piedi bolliti, umidicci e… puzzolenti. Seguendo i consigli dei commessi dei negozi, ho provato innumerevoli paia di calzini tecnici di vario tipo, con risultati deludenti. Su suggerimento di Luca Gianotti, la guida del trekking in Corsica dell’anno scorso, questa volta ho puntato su calzini di lana merino, con risultati eccellenti. Non solo niente vesciche, ma dopo un’intera giornata senza togliere gli scarponi, ho ancora i piedi asciutti e sani. Mi sembra giusto citare la marca (Smartwool), anche se probabilmente qualsiasi calzino in lana merino andrebbe altrettanto bene.

Punto secondo: sto ancora litigando con lo zaino. Credo sia normale avere dolori alle spalle per i primi due o tre giorni, dolori che poi si risolvono quando lo zaino diventa un compagno d’avventura. Per lo meno, per me è sempre stato così. In questo caso invece, anche se molto attenuato rispetto all’inizio, mi resta un fastidioso dolore simile a torcicollo, soprattutto dopo circa due ore di cammino continuato. Posso spostare il punto dove si concentra il dolore modificando di alcuni millimetri la lunghezza relativa degli spallacci, ma non riesco ad eliminarlo. Comincio a pensare che abbia a che fare con le modifiche posturali indotte dai plantari su misura. Mah, spero che tutto si sistemi nel giro di qualche giorno. Sicuramente uno zaino più leggero avrebbe giovato ma, viste le condizioni che ho trovato, non so proprio cosa avrei potuto togliere. Anche il sacco a pelo super pesante in un paio di occasioni si è rivelato molto utile.

Punto terzo: piante dei piedi. L’anno scorso mi sono accorto che dopo lunghissime camminate (8 ore o più per diversi giorni di fila), mi ritrovavo con dolori persistenti alle piante dei piedi, soprattutto nella parte interna. Da questo (forse) derivavano poi i dolorini alle ginocchia che mi era capitato di sperimentare in un paio di occasioni. Per ovviare a questo fastidioso problema, un paio di mesi fa ho fatto una visita ortopedica e ordinato dei plantari su misura. In questa settimana mi sono rimesso nelle stesse condizioni, con molte ore di cammino per diversi giorni di fila. Il risultato è stato uno spostamento del dolore, ora nella parte esterna del piede, e la diminuzione dell’intensità. Tutto sommato un buon risultato, anche se avrei preferito non provare questo tipo di dolore.

Punto quarto: ginocchia. A parte l’incidente dell’autoscatto, di tanto in tanto, sopratutto a fine giornata, ho provato qualche dolorino, che però è sempre scomparso da solo nel giro di pochi minuti. Credo di dover comunque stare particolarmente attento e prudente nel caso di lunghe discese su asfalto. Nel complesso direi che per ora le ginocchia hanno retto bene.

Punto quinto: tutto il resto. Tutto il resto? Bene, grazie. Anche gli occhi reagiscono bene e finora non ho avuto altri disturbi degni di nota.

Per ora è tutto, sono già le 19 e sono ancora l’unico ospite dell’ostello. Visto che domani dormirò sicuramente lungo il cammino francese, potrebbe trattarsi dell’ultima volta che mi capiterà di avere un’intera struttura tutta per me.

Giorno 7, lunedì 23 aprile, Sangüesa – Monreal

Per prima cosa, ieri mi sono dimenticato di sottolineare il fatto che il tempo è stato ottimale per tutto il giorno: sole a sprazzi e nubi che evitavano la cottura cerebrale. La stessa cosa è successa anche oggi, anche se il tempo sta chiaramente volgendo al peggio: temo un po’ per domani.

Alcuni dolorini e un leggero affaticamento generale mi hanno suggerito di non fare il tappone da 42km e di limitarmi a quanto suggerito dalla guida, tanto più che la tappa di oggi era già così classificata con quattro pallini neri.

L’inizio non è stato dei migliori, con passaggio vicino ad una cartiera capace di appestare chilometri e chilometri di cammino con i suoi effluvi pestilenziali. Anche visivamente il primo tratto è un po’ brullo e decadente.

Immerso in queste considerazioni, dopo circa un’ora sento un coro di ululati stile branco di lupi in Alaska, un altro gruppo corale che risponde e un altro ancora, e così via. Ed ecco il cartello minaccioso (vedi foto): “Zona de perros”. Uh oh, branchi di cani randagi… meglio accelerare il passo.

Fortunatamente il paesaggio migliora decisamente dopo un’altra ora di cammino e per tutto il giorno sarà sempre vario e piacevole. In particolare, mi è piaciuta una valle chiusa, completamente selvaggia ed isolata. Da molti punti di vista, mi ha ricordato alcuni degli scorci ammirati in Corsica durante il trekking dell’anno scorso.

Proprio in vista del possibile tappone, ho fatto la pensata di provare a fare il tratto chiave della giornata, 15km di saliscendi senza niente in mezzo, tutti di fila senza mai fermarmi. Beh, ci sono riuscito, ma sono arrivato a Izco (vedi foto) affamato come un lupo, al punto da spaventare la signora del bar mangiando due bocadillos (panini ripieni) giganti doppi in pochissimi minuti. Anche le persone che ho conosciuto questa sera sono passate di lì, e a quanto pare la signora ha raccontato a tutti di questo strano italiano divoratore di panini.

Molto spazio richiederebbe la divertente serata passata in compagnia di una coppia di spagnoli più o meno della mia età, un altro spagnolo un po’ più anziano, e il famoso signore giapponese (68 anni portati molto ma molto bene e, come previsto, ottimo russatore). Purtroppo, e per fortuna, ci siamo divertiti fino a tardi a chiacchierare, mangiare, bere, e quindi mi trovo ora a scrivere il diario a mezzanotte passata. Mi limito ad una fotografia scattata dal cameriere.

Domani sarà l’ultimo giorno del Cammino aragonese. Dopo Puente della Reina mi immetterò sul frequentatissimo Cammino Francese e, da quel che dicono tutti, l’esperienza cambierà radicalmente, talvolta in modo positivo, talvolta negativo. Può anche darsi che decida di fare tappa breve per prendermi mezza giornata da dedicare al bucato e a riposare. In questo caso passerò un’altra notte sul cammino che ho imparato ad apprezzare. Deciderò comunque domani lasciandomi guidare dall’istinto.

Concludo con un altro autoritratto, questa volta statico, ottenuto senza maltrattare ginocchia o altre parti del corpo.

Giorno 6, domenica 22 aprile, Artieda – Sangüesa

Come temevo ieri, ci sono stati concerti a ripetizione, con virtuosismi degni di nota. La coppia di anziani tedeschi e l’altrettanto anziana signora che avevo visto in difficoltà durante la tappa si sono ritrovati e siamo finiti insieme in stanza da quattro. A cena si scherzava sui russatori e i miei compagni di stanza si vantavano di essere quasi sordi; in particolare la signora non sente assolutamente nulla senza apparecchio acustico. In compenso tutti e tre sono dei professionisti. Durante la notte sembrava facessero apposta a darsi il cambio e a tessere elaborate melodie polifoniche. Il virtuosismo più significativo deve essere riconosciuto alla signora completamente sorda: russata standard, periodo casuale di silenzio da 5 a 15 secondi (tanto per risultare imprevedibile), e URLO finale a tutta voce, spesso sincronizzato con la russata degli altri due. Ovviamente oggi li ho persi, ma una coppia padre-figlio israeliani che ho conosciuto in un punto di ristoro mi ha messo in guardia da un temibile signore giapponese che pare adotti lo stesso schema della signora, con tanto di silenzio di durata casuale e urlo samurai conclusivo! Appena arrivato in ostello a Sangüesa ho subito notato un signore giapponese sospetto a meno di un metro dal mio letto. Sarà lo stesso? Mmm, temo proprio di sì. Forse dovrei seguire il consiglio degli israeliani e comprare i tappi…

La tappa di oggi è stata piuttosto lunga (32.5km) e ho voluto provare a farla quasi senza pause e di buon passo, per valutare le mie reazioni e decidere se domani fare una tappa standard come da libro o tentare il tappone da 42km che mi porterebbe a Tiebas, dove c’è un ostello che si narra disponga di lavatrice e asciugatrice (ne avrei bisogno).

Il primo tratto fino a Ruesta è bellissimo, con passaggi nel bosco, silenzio totale e la costante impressione di essere osservati da qualche animale nascosto. In questi primi 10km ho raggiunto e salutato definitivamente i compagni di ostello di ieri… è strano sapere che non li vedrò più.

Ruesta è un paese impressionante. Non ne conosco la storia, ma è completamente in rovina, come se fosse stato abbandonato da tutti gli abitanti contemporaneamente un secolo fa. Tetti crollati, muri a pezzi, le rovine dell’antica fortezza del X secolo si confondono con il resto del villaggio, come fossero tutt’uno. In mezzo a tutto questo sfascio, l’unico abitante è il gestore dell’unico edificio agibile, l’ostello per pellegrini del paese. Dev’essere un’esperienza non da poco passare una notte nel borgo fantasma.

Dopo Ruesta, lo spauracchio dei pellegrini (almeno dai discorsi di ieri sera): una “terribile” salitona di 7km, con un dislivello di 350m. Su strada sterrata molto agevole, non è ovviamente nulla di che e si supera di slancio. La discesa verso Undués de Lerda è davvero suggestiva, con campi verdi, colline ondulate, distanti montagne. Questo genere di paesaggio resterà poi una (piacevole) costante per tutta la tappa, nonostante il cambio di regione.

Ho infatti superato il confine fra Aragona e Navarra. L’unico cambiamento visibile è lo stile della segnaletica: non ci sono più infatti i paletti che indicano quanti km mancano a Santiago. Accidenti! E io che speravo di immortalarli ogni 100km.

Come suggeritomi prima di partire (vero Paul?), ho anche fatto un discutibile autoritratto del pellegrino moderno. Spero non risulti troppo spaventoso. Ho fatto anche un altro tentativo con l’autoscatto, ma nella corsa necessaria per mettermi in posa plastica entro 10 secondi mi sono quasi infortunato un ginocchio. Un po’ di spavento, ma camminandoci sopra per una decina di minuti è passato tutto. Per ora abbandono l’idea di cedere alla vanità e produrre un autoritratto decente del pellegrino in cammino.

Ora cena, e ricerca affannosa della farmacia di turno: devo procurami gli strumenti per affrontare la minaccia nipponica!

Giorno 5, sabato 21 aprile, Santa Cilia – Artieda

Cominciamo subito con le presentazioni: altri amici immaginari, questa volta lungo la strada sterrata fra Santa Cilia e Puente la Reina de Jaca. Dietro una curva appaiono, a perdita d’occhio, innumerevoli omini di pietra, muta testimonianza del passaggio di generazioni di pellegrini. Nella foto se ne possono apprezzare solo una minuscola parte, in realtà sono diverse migliaia di omini. Ovviamente anch’io lascio un mio rappresentante, non molto spettacolare ma comunque in buona compagnia.

A differenza di quanto visto su entrambi i versanti dei Pirenei, direi che la sensazione di essere fuori stagione è scomparsa. Si vedono persone in giro, le strutture sono tutte aperte e ormai è facile trovare un bar o un ristorante in ogni paesino. Ad esempio, oggi mi sono fermato a Puente la Reina de Jaca, dove ho fatto la seconda colazione, ho aggiornato il blog e, già che c’ero, ho fatto anche il primo pranzo. Il secondo, a base di panino, tonno, pomodorini e formaggio di capra, lungo la strada durante l’unica rarissima parentesi di sole della giornata.

Anche oggi infatti pioggia, anche se in forma più delicata rispetto agli ultimi giorni. La tappa è stata più breve del solito e su terreno facile, solo 27km su strade di campagna. Come scritto sulla guida, la chiave della giornata è un tratto di 20km senza nulla in mezzo, niente paesi, servizi, ristoranti, acqua. Solo campi, campi, campi, fino a trovarsi così lontani da tutto da non udire alcun rumore, perfetto silenzio, nemmeno gli uccelli o gli insetti osano disturbare.

Una piacevole novità è che ho trovato lungo il percorso altri pellegrini! Durante la mia pausa internet-gastronomica, i compagni di ostello di Santa Cilia mi hanno superato e piano piano li raggiungerò tutti. E’ una sensazione nuova camminare in mezzo al nulla e vedere lontano lontano un puntino, che poi si trasforma in pellegrino, e poi in un volto noto. Per prima ritrovo Teoma, la signora brasiliana, riconoscibile per lo zaino assurdamente grande e pesante. Ieri era molto elegante e non aveva per niente l’aspetto di una pellegrina: ecco che tutto si spiega con l’innovativo concetto di zaino/guardaroba. Poi riprendo la signora tedesca che ho conosciuto in ostello solo questa mattina. Sembra molto affaticata e sofferente, ma da come mi risponde è evidente che vuole proseguire da sola e non ha bisogno di aiuto. Poco dopo raggiungo Maisie, la ragazza scozzese, in pausa pranzo dietro una curva. Un saluto e via, tanto già sappiamo che ci ritroveremo tutti a Artieda. Poco dopo supero una simpatica coppia tedesca, con molti cammini alle spalle. Entrambi over 70, hanno fatto come me il percorso in Francia, ma si sono lasciati spaventare dalla neve e hanno superato il passo in autobus. Questa sera saranno miei compagni di stanza e il marito ha il classico aspetto rubicondo del russatore professionista: speriamo bene…

Chissà se esiste il concetto di galateo del cammino per quel che riguarda gli incontri con qualcuno che già si conosce. Che si fa in fase di sorpasso? Saluto rapido e via? Domande di circostanza finché cala il silenzio e poi fuga imbarazzata? Rallentare e aspettare di essere invitati a ripartire? Tutto sommato, potrebbe essere l’ultima volta che vedo quella persona… Mah, credo proprio che dovrò improvvisare di volta in volta.

Non ricordo se ne ho già parlato ma, lungo il cammino, ci sono dei cippi segnaletici speciali che indicano, chilometro per chilometro, quanto manca a Santiago. Al Passo del Somport il primo di questa serie indicava 858km. Oggi ho superato la barriera degli 800km (vedi foto), evviva!

Concludo con un’immagine di Artieda, bellissimo paesino dall’aspetto antico arroccato in cima ad una collina. E’ la destinazione della tappa odierna e l’ostello è piuttosto affollato, quasi pieno, direi. Credo che d’ora in poi potrò dimenticare le strutture aperte solo per me e cominciare a condividere con tante persone tutti i servizi. Con un po’ di fortuna, sono arrivato in paese 5 minuti prima di un forte temporale. Purtroppo i miei compagni di viaggio non hanno avuto la stessa fortuna e sono arrivati decisamente molto bagnati. A quanto pare Taoma e Maisie erano insieme durante la tempesta ed è scattata la crisi di pianto. Ora si sono riprese e sono qui con me al bar del paese a bere qualche birra e a chiacchierare in inspagnolese (spagnolo parlato da inglese + portoghese). Fra poco cena del pellegrino e riposo tattico: domani e, soprattutto, dopodomani, saranno giornate impegnative.

Giorno 4, venerdì 20 aprile, Canfranc Pueblo – Santa Cilia

Anche oggi camminata per lo più solitaria, con un paio di eccezioni.

Poco dopo le 12 camminavo dalle parti di Jaca, la prima città di una certa dimensione che si incontra lungo il cammino. Mancava ancora un mezz’ora di strada e, incredulo per la tregua dalla pioggia (di breve durata, scoprirò poi), stavo giusto pensando che avrei addirittura potuto mangiare all’aperto. Dietro una curva mi è apparsa una casa invasa dall’edera, con le imposte rosse decorate con le conchiglie. Davanti all’ingresso, un pellegrino di metallo (vedi foto) e, di fronte, una panchina completamente (e stranamente) asciutta. Due gatti mi hanno avvistato da lontano e si sono fiondati sulla panchina, fissandomi molto intensamente. Ecco che allora mi sono seduto proprio lì e ho condiviso con i due amici gatti il mio pasto a base di taralli, salamini piccanti, e dolcetti francesi. Spero abbiano gradito.

Ho poi trovato una moltitudine di amici immaginari nel rilassante tratto fra Jaca e Santa Cilia. Una strada sterrata ad uso esclusivo dei pellegrini, a sinistra il bosco, a destra, alcune centinaia di metri più sotto, la statale. Per chilometri e chilometri, ogni 50 metri, un coso che sembra uno spaventapasseri (vedi foto). Simpatici, anche se non capisco bene cosa stiano a simboleggiare: i pellegrini che mi hanno preceduto? croci metalliche (che qualcuno ha decorato con bottiglioni colorati e giubbotti catarifrangenti)? il viale degli impiccati? Mah…

Uno degli aspetti che mi colpisce del cammino è che paesi e città hanno subito l’influenza secolare del passaggio dei pellegrini. Ci sono ovunque riferimenti al cammino, simboli, pannelli informativi, conchiglie. Ad esempio, mi piace come a Jaca abbiano costruito un intero quartiere intorno al percorso dei pellegrini, rispettandone la natura: un lunghissimo vialetto che punta verso Santiago (ovest!), con case e palazzi tutto intorno, ma a debita distanza.

Nel pomeriggio ho visto qualche sprazzo di sereno, tanto che ho dovuto cominciare ad usare gli occhiali da sole. Pioveva comunque, ma intanto sono riuscito a vedere la mia ombra. Ormai erano giorni che non si faceva vedere.

All’ostello municipale di Santa Cilia dove mi fermo questa notte, ho avuto la fortuna di trovare persone interessanti, con le quali ho parlato fino a tardi. Ho cenato con Teoma e con l’hospitalero (i.e. il gestore dell’ostello). Teoma è una signora brasiliana ormai al suo terzo cammino, che purtroppo si è acciaccata l’anca il primo giorno scendendo dal Somport. Ha fatto due giorni di riposo a Jaca e ora ha ripreso con una mini-tappa di 15km fino a qui. La conversazione mista spagnolo / brasiliano / italiano è riuscita piuttosto bene e abbiamo comunicato senza troppi problemi, anche se in alcune occasioni i cenni di comprensione erano un po’ forzati…

Mentre scrivevo le prime righe di questo post, è scesa dalle scale Maisie, giovane ragazza scozzese. E’ arrivata all’ostello molto tardi, mentre cenavamo, apparentemente distrutta dalla fatica. Ora si è rinfrescata e abbiamo fatto due chiacchiere. Lei non sta seguendo il cammino, ma vaga un po’ a casaccio alla ricerca di posti piacevoli e, a quanto dice, è già da tre settimane che vaga, camminando una ventina di km al giorno: brava! Anche il suo lavoro è fuori dal comune: da ottobre lavora in una fattoria ‘organica’ in Spagna, in cambio del solo vitto e alloggio. Non è sostenibile a lungo termine, ma intanto è contenta così. E’ piacevole, dopo giorni e giorni di difficoltà linguistiche, riuscire a comunicare in modo più diretto.

La tappa di oggi è stata molto lunga e i miei piedi e le mie spalle ne risentono: dovranno abituarsi, ma intanto bene così. E ora, a dormire!