Nel giardino degli ulivi

Martedì 25 giugno 2013. In viaggio: giorno 118. In Turchia: giorno 7. A piedi: giorno 35.

Via Licia: giorno 2. Da Faralya a Gey, 24km.

La prima spiaggia del cammino: Kebak.

Dopo il riposo di ieri, oggi ho voluto provare a fare una tappa impegnativa. Mi interessava scoprire l'effetto della torrida estate turca su chi si muove a piedi. Posso puntare a tapponi tipo quelli dell'anno scorso lungo il cammino di Santiago di Compostela (30km – 35km al giorno)? Devo limitare le forze e riposare durante la parte centrale della giornata? L'esito non mi è chiaro. Quella che sulla carta sembrava una tappa relativamente tranquilla – 24km – in realtà è stata molto dura. Non solo per i dislivelli, 1500m in salita, 1100 in discesa, ma anche per il terreno, in alcuni tratti piuttosto infido. Ora sono allegramente distrutto, anche perché mi sono fermato solo fra le 12:30 e le 15:00, camminando quindi per ore sotto un sole feroce. Per i prossimi giorni credo dovrò allargare parecchio la pausa pranzo, altrimenti rischio di schiattare.

L'allegro villaggio di Alinca, quattro case di numero e una locanda che apre solo quando ci sono clienti.

Il momento peggiore è stato quando sono arrivato ad Alinca, verso le 12:30, bollito e affamato come un lupo. Sapevo dell'esistenza di una locanda, e già mi sognavo di pasteggiare e riposare per ore. Solo che non c'era nessuno, chiusa. Preso da sconforto, mi sono seduto all'ombra della casa e ho aperto il cibo d'emergenza: anacardi, albicocche secche, e rotolini di marzapane turco. Per fortuna i vicini di casa mi hanno notato e si sono affrettati ad aprire il ristorante. Un sollievo. Ah, la cuoca della locanda è la figlia della cuoca di ieri a Faralya; tutti parenti da queste parti.

Ancora sulla spiaggia di Kabak.

Questa mattina ho bagnato per la prima volta i piedi nel mare. Sono infatti sceso fino alla spiaggia di Kabak, in mezzo ai tanti turisti che hanno passato tutta la notte all'aperto in riva al mare. Stavano ancora dormendo alla grande e mi sono quindi infilato in acqua senza fare rumore. Dalla spiaggia ad Alinca è tutto un salitone (quasi 800m di dislivello), prima nel bosco, poi allo scoperto. A far bene sarebbe meglio fermarsi verso le 11 del mattino e ripartire dopo le 16:30.

Dopo Alinca, la Via Licia impazzisce un po'. Pur di evitare un paio di chilometri di strada asfaltata, scende di brutto per una rampa un po' esposta, a picco sul mare, per poi risalire in modo altrettanto brusco. Sembra una scelta un po' demenziale, ma forse i tracciatori non hanno avuto tutti i torti. Le viste sul mare sono infatti splendide e in un paio di occasioni mi sono dovuto fermare in ammirazione (ok, ero anche cotto e mi sono seduto all'ombra di uno dei pochi alberi…).

Poco prima di Gey ho trovato un altro luogo estremamente suggestivo. Alcuni terrazzamenti, grandi ulivi, il mare in lontananza, nessuno in giro, solo i grilli. In questi giorni di silenzio e pace sto trovando l'occasione di riflettere molto, ma nel giardino degli ulivi ho avuto un momento di lucidità durante il quale tutto sembrava andare al suo posto. Un giorno mi piacerebbe tornarci.

 

Antipasto di Via Licia

La Via Licia inizia qui.

Lunedì 24 giugno 2013. In viaggio: giorno 117. In Turchia: giorno 6. A piedi: giorno 34.

Via Licia: giorno 1. Da Ovacık a Faralya, 13km.

Il primo dei tanti segnali bianco-rossi che identificano la Via Licia.

Ho ricominciato a camminare, evviva. La Via Licia a piedi è l'ultimo capitolo del mio giro del mondo, ma fortunatamente è bello ricco di pagine. Oltre 500 chilometri, da Ovacık a Hisarçandır, lungo la costa e attraverso i monti dell'antica regione della Licia.

Come ho già scritto, purtoppo il libro-guida ufficiale in inglese è esaurito e mi dovrò quindi arrangiare con la versione in turco. La lettura della mappa è universale, ma purtroppo i capitoletti dedicati alle varie tappe risultano quasi del tutto indecifrabili. Intuisco che il testo è ricco di indicazioni del tipo “dopo la fontana, gira subito a destra per il sentiero poco visibile, non lasciarti ingannare da quello più largo“. Tuttavia, grazie al mio fido GPS, conto di non perdermi troppo spesso. Peccato invece per i riquadri con le indicazioni storiche, particolarmente importanti per apprezzare al meglio i tanti siti archelogici che incrocerò lungo il cammino.

Come arrivare a Ovacık, punto di partenza della Via Licia

Esistono varie soluzioni possibili, ma in questo paragrafo descrivo solo quella che ho scelto. Da Istanbul SAW ho volato fino all'aeroporto di Dalaman, una faccenda di una cinquantina di minuti. Dopo l'arrivo di ciascun aereo, dall'aeroporto di Dalaman partono due autobus: uno porta a Fethiye, circa 70km più a est, l'altro… boh, non importa. Il biglietto costa circa 4 euro, anche se i tassisti vampiri appostati all'uscita del terminal la raccontano diversa (nell'ordine: l'autobus non esiste; non parte; parte fra due ore; costa tanto; è lento…). Vogliono ovviamente convincere i turisti a muoversi in taxi, per la modica cifra, fino a Fethiye, di 40 euro.

Da Fethiye a Ovacık ci sono 7km di strada in salita. Visto che il mio albergo si trovava in una stradina secondaria, ho optato per un taxi. Può darsi esistano altre opzioni, ma non ho indagato oltre. Il mio tassista è riuscito a perdersi e a perdere tempo, portando il tassametro fino a 20 euro. Quando è arrivato alla piazza principale del paese, punto di partenza del cammino, il tassametro segnava 12 euro.

Prima tappa

Fra colazione tardiva e alcune faccende da sistemare, sono partito tardi, molto tardi, verso le 9, quando il sole già cominciava a picchiare. Su terreno facile e aperto, il primo tratto sale piuttosto ripido, con stupendi scorci sulla spiaggia di Ölü Deniz (vedi foto). La mappa molto opportunamente segnala tutte le fonti d'acqua e mi consola notare che in buona parte dell'intera Via Licia ce n'è una ogni pochi chilometri. Si tratta quasi sempre di vere e proprie fontane e sembra che al momento non ci sia penuria d'acqua.

Spiaggia di Ölü Deniz.

Raggiunto il punto più alto dopo un paio d'ore di sudore estremo (devo bere mezzo litro d'acqua ogni 30 minuti), inizia una lunga e piacevole discesa che porterebbe fino al mare. Verso ora di pranzo però passo da Faralya, circa 400m di quota, tranquillo paesino con vista mare. C'è una bella pensioncina, una brava cuoca, giardino ombreggiato con comodi divanetti… insomma, questa notte mi fermo qui. Tappa breve quindi, ma va bene così. Nessuno mi corre dietro e, effettivamente, il libro segnala come primo punto-tappa proprio Faralya.

Sul percorso non ho incontrato nessuno, siamo fuori stagione per camminare lungo la Via Licia. Poco fa sono però arrivati due ragazzi francesi, anche loro con zainoni. Hanno pochissimi giorni a disposizione e quindi non percorreranno tutta la via, ma credo che avremo occasione di conoscerci meglio a cena e, forse, i prossimi giorni.

Fiori sul sentiero.

 

Turista di giorno, in fuga di notte

Sabato 22 giugno 2013. In viaggio: giorno 115. In Turchia: giorno 4.

Ieri ho dedicato tutto il giorno alla preparazione del cammino. Ho scaricato mappe, percorsi, dettagli, informazioni. Ho studiato un po' di lingua turca sul frasario, ed è subito arrivata la sera.

Oggi invece ho fatto il turista puro. Mattina a visitare la Hagia Sophia, pranzo in locale tipico, pomeriggio sull'autobus scoperto in giro per la città, accompagnato dalle spiegazioni della guida. Confermo le impressioni iniziali sulla bellezza della città, da tutti i punti di vista: architettonico, naturale, antropologico, storico. Qui si respira la storia – quella vera, quella antica – con un'intensità che finora ho sentito solo a Roma. Impressionante.

Contrasto fra mosaico di Maria e gigantesco pannello calligrafico islamico.

Come al solito, evito di dilungarmi in spiegazioni da turista sulla città, limitandomi ad alcune fotografie centrate soprattutto su Hagia Sophia e i suoi famosi mosaici.

Qualche nota invece sul dopo cena. Già dal tardo pomeriggio ho notato che le proteste si sono spostate (o si sono allargate, non so) da piazza Taksim alla via Istiklal Caddesi, quella che percorro N volte al giorno, avanti e indietro dall'albergo. Ho inizialmente l'impressione che ci siano due diversi cortei, uno a favore e uno contrario al governo, ma non ne sono certo, difficile capire gli urli in turco, per di più coperti da una selva di fischi. Bella la naturalezza e i sorrisi dei manifestanti, che si muovono come se si trattasse di una festa pacifica, con canti e balli. Curiosi anche i venditori ambulanti di mascherine antigas e la folla equipaggiata con occhiali da sub, mascherina e collana di fiori in testa.

Dopo cena stavo tornando all'albergo quando, all'improvviso, tutta la folla che avevo davanti – centinaia e centinaia di persone – ha cominciato a correre alla disperata nella mia direzione. Sono rimasto interdetto: perché mai dovrei mettermi a correre anch'io se non so il motivo che ha scatenato il panico? Una commessa del negozio di intimo femminile ha risolto il dilemma. Mi ha fatto cenno di entrare e mettermi in salvo. Nel giro di pochi secondi sono entrate anche due ragazze e una famiglia con figli adolescenti. La mamma tremava tutta, sguardo terrorizzato e sorriso forzato a 32 denti, in evidente stato di shock. Ci siamo chiusi dentro, abbiamo sigillato le fessure della porta con dei foulard e abbiamo aspettato. La gente continuava a fuggire all'impazzata, poi ho capito il perché. Un enorme furgone bianco avanzava, spruzzando una sostanza bianca. Dietro, un drappello, nemmeno tanto numeroso – una cinquantina al massimo – di poliziotti in tenuta anti-sommossa. Procedevano piano e tranquilli. Dopo qualche minuto la situazione mi sembrava abbastanza sicura per uscire e pian pianino mi sono portato in albergo. Si sentiva ancora qualcosa di pungente nell'aria, soprattutto in fondo alla gola e sugli occhi, ma ormai l'effetto era scemato.

Domani partirò alla volta di Oludeniz, punto di partenza del cammino. Dormirò in un alberghetto (già prenotato), con l'idea di iniziare a camminare lunedì mattina. Non vedo l'ora di essere in mezzo alla natura.

Particolare del Deesis Mosaic.

Mosaico della presentazione, all'ingresso di Hagia Sophia.

Una strana moschea avvistata nel pomeriggio. Sembra appoggiarsi su un mucchio di macerie, accanto a edifici fatiscenti...

 

Gioie e dolori a Istanbul

Giovedì 20 giugno 2013. In viaggio: giorno 113. In Turchia: giorno 2.

Istanbul è una città bellissima. Il mare in tutte le direzioni, le colline verdi, gli edifici bianchi ed eleganti… dal punto di vista del paesaggio naturale mi ricorda le bellezze di Sydney. Ma dal punto di vista storico, non c'è confronto, ovviamente. Istanbul è ricchissima di storia; passeggiando da un quartiere all'altro sembra di muoversi a Venezia, a Roma, a Firenze, insomma, a Istanbul. E' la prima volta che visito una città dove le chiese sono sostituite da innumerevoli moschee, grandi edifici con cupole multiple e due alte torri puntute. Il mio albergo è in ottima posizione, lungo Istiklal Caddesi, la via pedonale più frequentata della città. A qualunque ora del giorno e della notte è piena di vita, musica, gente, famiglie, giovani e vecchi, tanti colori e profumi nuovi.

I disordini e le proteste delle ultime settimane, pur continuando nella vicina (circa 1km) piazza Taksim, da qui sono invisibili e fiumi di gente e turisti proseguono le loro attività come nulla fosse. L'autobus che collega l'aeroporto al centro passa proprio da piazza Taksim, così dal finestrino ieri ho potuto vedere i manifestanti e i poliziotti schierati in tenuta anti-sommossa. La situazione sembrava pacifica e calma, anche se ovviamente si respirava una certa tensione.

Dovendomi dedicare alla preparazione del cammino, ho limitato le mie attività da turista. Oltre alla già nominata via Isiklal, ho esplorato brevemente la parte sud della città (Sultanahmet) e ho fatto un giro in barca sul Bosforo. Spero di avere il tempo di visitare alcune della altre bellezze della città nei giro dei prossimi due giorni.

Il mio obiettivo di giornata era di comprare la guida ufficiale alla Via Licia. Un libretto intitolato Lycian Way, scritto da Kate Clow. Purtroppo pare sia ormai fuori catalogo e non l'ho trovato in nessuna delle librerie convenzionate. Per fortuna ho scovato l'ultima copia rimasta della versione in turco, aggiornata al 2010, che include la fondamentale mappa multilingue e i profili altimetrici di ciascuna tappa. Difficilmente riuscirò a decifrare il testo, ma spero di non averne troppo bisogno. Per sicurezza sto scaricando le tracce GPS di tutto il percorso e le mappe di OpenStreetMap, da consultare sul mio smartphone usando OruxMaps. Ho letto che i segni rossi e bianchi lungo il percorso sono poco visibili e che, senza GPS, è quasi inevitabile perdersi di continuo. Speriamo bene.

Veniamo ora ai dolori di Istanbul. Pare che uno sport nazionale, particolarmente praticato in città, sia quello di spennare i turisti-polli. Io oggi mi sono calato nel ruolo di pollo. Due volte.

Nel primo caso, piuttosto innocuo, il colpevole è un cameriere della catena di ristoranti Konak. Ho ordinato una pida, una specie di pizza in stile turco. Visto il pollastro, il cameriere ha cominciato a raccontarmi che la pida è una cosa piccolissima, del tutto inadeguata come piatto principale. Mi ha però proposto la soluzione: me ne servirà una più grande, apposta per me. Ho acconsentito e gustato con piacere la presunta pida gigante. Al momento del conto mi sono però accorto che, invece di 11 lire turche, la mia pida speciale ne costava 33. Ho pagato senza fiatare, anche se la cosa mi sembrava sospetta; evidentemente la pida da 11 lire dev'essere minuscola… A cena ho mangiato in un altro punto della stessa catena, ordinando apposta una pida standard da 11 lire. Con una certa sorpresa ho scoperto che era esattamente delle stesse dimensioni di quella mangiata a pranzo. Sono allora tornato al ristorante incriminato, dove ho chiesto un colloquio con il gestore. Gentilissimo, ha convocato il cameriere furbastro e, anche se tutti abbiamo capito il trucco, hanno cercato di metterci una pezza inventando un sacco di scuse (grande uguale, ma il ripieno era il triplo…). Insomma, non sono riuscito a farmi rimborsare il maltolto. Poco male, ho comunque imparato una lezione, perdendo tutto sommato pochi euro (22 lire turche = 8.62 euro).

Molto ma molto più costosa invece la lezione che ho ricevuto nel pomeriggio. Me ne andavo per i fatti miei dalle parti di Sultanahmet, quando un ragazzo, vestito con una maglietta raffigurante la bandiera australiana, ha notato la mia t-shirt australiana. Mi ha fermato e abbiamo chiacchierato un po'. A causa della sua maglietta, non ho sniffato nulla di sospetto. Ad un certo punto mi ha invitato qualche metro più sopra, con la scusa di darmi il suo biglietto da visita, rimasto nella borsa della sua moto. La moto era parcheggiata fuori da un negozio di ceramiche tradizionali e, come mi sono avvicinato, sia il ragazzo, sia il gestore mi hanno invitato a entrare un attimo. Superata la soglia, ho subito capito che i due erano d'accordo e, prima di riuscire a reagire, mi sono trovato seduto su un divanetto, con un bicchiere di the fumante in mano, circondato da gestore, ragazzo, e tre assistenti premurosissimi. Nonostante la mia premessa che non so nulla e che non me ne importa alcunché delle ceramiche tradizionali turche (pura realtà), abbiamo iniziato una specie di gioco teso ad individuare quale fra i piatti presenti mi piacesse di più. A questo punto avrei fatto meglio a forzare la situazione e andarmene, ma la lezione non era ancora arrivata e la curiosità ha prevalso. Ad un certo punto è successa una cosa strana. Il gestore mi ha mostrato la pistola che tiene nascosta sotto la camicia, con la probabile intenzione di impressionarmi (o forse di minacciarmi indirettamente?). L'unica cosa che ho pensato è che sembrava finta, di plastica. Il tipo, visto che non ho avuto alcuna reazione, né di ammirazione, né tantomeno di paura, ha subito commentato che gli italiani sono tutti mafiosi, per forza non si spaventano quando vedono una pistola! Per farla breve, individuato un piatto, abbiamo cominciato a contrattare. L'ho presa come un gioco, per vedere come funziona, anche se ancora non avevo alcuna intenzione di comprare il piatto, tanto più che l'ho scelto praticamente a casaccio. La domanda che mi continuava a fare era: “secondo te quanto vale?”. E io rispondevo, leggendo la domanda come un puro esercizio. Il significato reale però era più impegnativo: “quanto ti impegni a pagare per questo piatto?”. Ho capito la sottile differenza troppo tardi, dopo numerose iterazioni, alcune delle quali piuttosto divertenti e patetiche, quasi una commedia. Da un prezzo iniziale di 375 euro siamo arrivati a 220, dopo quasi un'ora passata sul divano del negozio a bere un the dopo l'altro. Me ne volevo andare ad ogni costo e mi sono sentito costretto, almeno psicologicamente, a comprare il maledetto piatto. Una volta raggiunto l'accordo, brindisi tradizionale a base di raki, bibita alcolica locale simile all'ouzo greco. Ultima sorpresa, ho pagato con la carta di credito in lire turche e il tipo, casualmente, ha sbagliato la conversione facendomi pagare una cifra equivalente a 250 euro. Me ne sono accorto appena uscito dal negozio e, alle mie proteste, si è scusato profondamente ma, invece di restituirmi i 30 euro rubati, ha insistito pesantemente per aggiungere all'acquisto un altro piatto di valore equivalente. Troppo stanco per protestare ulteriormente, ho accettato, anche se mi resta parecchio amaro in bocca. Complessivamente, una lezione pesante sul portafogli, ma comunque interessante dal punto di vista culturale. Anche se ora mi pesa essere stato pollo, credo che in un (lontano) futuro ricorderò questa esperienza più per il suo interesse culturale che per il danno subito… almeno spero.

Ecco il piatto incriminato. Interessa a qualcuno? Lo rivendo allo stesso prezzo... 😉

Concludo con una nota positiva. Ho trovato il miglior barbiere di sempre. In Turchia ce ne sono tantissimi e lavorano in continuo, spesso facendo la barba ai clienti. Mano sicura e rapidissima, trattamento finale con crema verde (vedi foto), e gran fiammata d'accendino per bruciare i peli delle orecchie, wow! Il tutto per 4 euro.

Aggiornamento 21 giugno 2013. Ho letto le recensioni TripAdvisor relative ai ristoranti Konak. Pare che quanto mi è successo sia assolutamente la norma: camerieri e gestori furbi che cercano di fare fessi gli stranieri. Leggendo le recensioni degli altri italiani truffati, credo di potermi ritenere fortunato. Evitate Konak come la peste!

 

Strane coincidenze a Arequipa

Venerdì 14 giugno 2013. In viaggio: giorno 107. In Perù: giorno 16.

Che incredibile coincidenza! Questa mattina ho dormito fino a tardi, recuperando così dalle fatiche del viaggio di ieri da Puno a Arequipa. Ho scelto un ostello molto centrale, uno delle decine e decine che si trovano in questa grande città da oltre un milione di abitanti. Ho aperto la porta della stanza e… chi mi trovo davanti? Anna e Hendrik, la coppia di ragazzi tedeschi che hanno camminato con me sul Salkantay Trek una decina di giorni fa. Anche loro nello stesso ostello, nella stanza di fronte alla mia, siamo usciti proprio nello stesso momento. Dopo alcuni momenti di incredulo stupore ci siamo fatti una sana risata e ci siamo aggiornati sugli ultimi giorni.

Anna e Hendrik hanno seguito un itinerario completamente diverso dal mio, tanto che erano ad Arequipa già da quattro giorni, con in cantiere un altro breve trekking per domani e dopodomani dalle parti del profondissimo Colca Canyon. Io non avevo particolari piani per oggi, quindi ho molto volentieri accettato il loro invito a seguirli alla scuola di cucina peruviana prevista per questa mattina.

La prima attività del corso è la visita al mercato con l'insegnante chef. Ci siamo concentrati principalmente su banco dei frutti, banco delle patate, olive, e… banco delle stranezze. Le patate sono nate qui, e si vede. Esistono e sono usate più o meno comunemente oltre 3000 diverse specie, per tutti gli usi e di tutte le qualità. Il banco delle patate sembra infinito, con patate bianche, viola, nere, grigie, dolci, farinose, per finire con una frutto-patata che si può consumare cruda, bella croccante. Anche i frutti sono particolari, alcuni già visti in altre parti del mondo, altri completamente nuovi. Purtroppo ne ho dimenticato il nome, ma sono rimasto colpito da un grosso frutto verde e tondeggiante, che all'interno presenta una morbida pasta bianca, della consistenza di una mousse e il sapore / profumo di un passion fruit molto dolce. Slurp.

Un festoso feto di llama.

Per quel che riguarda le cose strane, ecco il banchetto che vende… feti di llama mummificati (vedi foto). A quanto pare sono utilissimi sepolti nelle fondamenta delle case, per renderle solide e fortunate. Se poi uno ha mal di gola, ecco il banchetto che vende il celebre succo di rana. Rane vere e proprie essiccate e frullate (ossa, pelle e tutto il resto) insieme ad uno strano liquido. Inutile dire che nessuno di noi aveva mal di gola in quel momento…

La cucina della scuola è ben equipaggiata e si trova nel bel giardino privato di uno degli ostelli più noti della città. A differenza della mia precedente esperienza da cuoco in Thailandia, dove ognuno cucinava esclusivamente per sé, qui abbiamo contribuito a turno alla riuscita di tre piatti comunitari.

Una ricchissima insalata (estremamente cipollosa) per iniziare. Poi una torta di patate e formaggio. Per concludere, peperoncini rocoto ripieni di carne, uno dei piatti andini più caratteristici.

Nel complesso, alcune ore di puro divertimento, con scorpacciata galattica finale. Un grazie a Anna e Hendrik per l'idea e per la compagnia.

La parte centrale di Arequipa è molto bella dal punto di vista architettonico, con molti edifici dal caratteristico colore bianco, comprese alcune chiese e piazze storiche ben tenute. Se avessi avuto un paio di giorni in più a disposizione, mi sarei dedicato alla scalata de El Misti (5822m), l'impressionante vulcano che domina la città, ma ormai ho i giorni contati e già domani partirò alla volta di Lima.

Riprenderò a scrivere sul blog una volta arrivato in Turchia (dopo il 19 giugno), ultima tappa del giro del mondo.

El Misti (5822m), visto alla piazza principale di Arequipa.

 

Vita d’altri tempi sul Titicaca

La cognata di Edwin mentre tesse il filo.

Martedì 11 e mercoledì 12 giugno 2013. In viaggio: giorno 104 e 105. In Perù: giorno 13 e 14.

I 380 chilometri da Cusco a Puno sono filati lisci lisci, anche grazie alla felice scelta di appoggiarmi a Wonder Perù, un'agenzia che organizza bus turistici di lusso, con tanto di guida multilingua e fermate lungo il percorso per visitare musei, chiese, siti archeologici, copresi alcuni minuti di pausa anche sul punto più alto del percorso, il passo La Raya, 4335m.

Puno è una città di 230mila abitanti, a 3900 metri di quota, sulla costa del Lago Titicaca. A parte un paio di strade pedonali e la piazza principale, non è una città bella come Cusco. Tanti ristorantini dall'aspetto trasandato, edifici quasi fatiscenti, pochi turisti in giro. E poi è piuttosto freddo. Non appena cala il sole oppure passa una nuvola, la temperatura precipita, tanto che ho sempre girato con maglioncino e giacca antivento.

Tromba d'aria sul Lago Titicaca. Immagino non capiti spesso, soprattutto durante la stagione secca.

Isole volanti, grazie a un simpatico effetto ottico.

Sono partito da Cusco con un nome in tasca: Edwin. Il contatto arriva dai gestori dell'ostello Caith, so che passerà a prendermi in albergo alle 7:20 di martedì per un'esperienza di due giorni su una delle isole del lago. Non so altro, ho deciso di non indagare oltre e di non crearmi aspettative di alcun tipo.

Edwin è puntualissimo e l'impressione è subito positiva. Indossa abiti tradizionali, ha un bel sorriso costantemente stampato in faccia e parla un misto di italiano e spagnolo; grazie al contatto con l'ostello “italiano” lavora infatti quasi sempre con turisti italiani. Dopo pochi minuti passiamo a prendere i miei compagni d'avventura: una bella coppia di italiani sposati da poco, Manuela e Gerri, che sta facendo un viaggio eco-responsabile in Perù di alcune settimane.

Scopro così che il programma prevede di prendere una barca turistica fino ad arrivare all'isola di Taquile, nel bel mezzo del lago, dove la famiglia di Edwin vive da generazioni. Nel pomeriggio gireremo a piedi l'isola, poi dormiremo a casa di Edwin, suoi ospiti. La mattina dopo, altre esplorazioni, un po' di riposo, e poi altra barca per tornare a Puno.

L'isola di Taquile è una strisciolina di terra lunga e stretta, circa 7km, formata da una sequenza di piccole colline. Vegetazione scarsa, qualche ciuffo d'erba gialla, pochi alberi, molti terrazzamenti dove crescono le poche piante adattate a queste altitudini. Casette distribuite qua e là, semplici ma dignitose, equipaggiate con pannelli solari e, piuttosto spesso, con antenne paraboliche per la tv satellitare.

Manuela e Gerri, un po' sofferenti per l'alta quota (nel giro di alcune ore staranno entrambi molto meglio).

La compagnia di Manuela e Gerri è molto gradita e il loro spirito meridionale (lui di Napoli, lei di Trapani, anche se ora vivono a Roma) rende i colori di quel che viviamo ancora più vividi e suggestivi. Tutta la famiglia di Edwin è coinvolta nell'accoglienza degli ospiti: la moglie Flora, i figli Mariluz e Roger, la cognata, il fratello, i genitori. Del resto, le attività degli isolani sono piuttosto limitate. Poca pesca, un po' di agricoltura e allevamento (pecore e mucche), ma soprattutto artigianato e, per chi può, un minimo di turismo. Sull'isola tutti, ma proprio tutti, dal bambino più piccolo all'anzano più decrepito, sanno realizzare complicati articoli d'abbigliamento colorati. Non si fermano mai. La cognata di Edwin (vedi foto in cima alla pagina), non smette mai di torcere il filo per tutta la durata della passeggiata che facciamo con lei. Stessa cosa il nonno la mattina dopo, solo che lui sta preparando un cappello a maglia, manipolando abilmente 5 stecche e vari gomitoli colorati che gli spuntano da dietro le spalle.

Due giorni intensi che ricorderò sempre, sia per le persone incontrate, sia per la magia fuori dal tempo dell'isola.

Il nonno che lavora sulla spiaggia. La sabbia e le onde leggere inviterebbero a buttarsi in acqua, ma siamo pur sempre a 3900m e l'acqua raggiunge a mala pena i 9°C...

I figli di Edwin hanno una certa dimestichezza con tablet e smartphone. Evidentemente chiedono a tutti i visitatori di provare qualche giochino.

Toh, solo poco più di 10mila km da Taquile.

 

Domenica di riposo a Cusco

Domenica 9 giugno. In viaggio: giorno 102. In Perù: giorno 11.

L'altra sera a Cusco devo aver mangiato qualcosa di contaminato. Gli indiziati principali sono la mousse al cioccolato e il succo di papaia. Quest'ultimo era poco denso e forse era stato allungato con acqua di rubinetto, chissà. Ieri mattina mi sono svegliato con uno strano malessere che nel giro di pochi minuti si è tradotto in un perfetto caso da esorcista. Diarrea e vomito a spruzzo esattamente nello stesso momento, situazione logisticamente molto complicata, che ha richiesto notevole virtuosismo… e forse è meglio tacere ulteriori (scabrosi) dettagli. Dopo aver espulso “il demonio“, mi sono infilato nuovamente a letto, senza più rialzarmi fino a questa mattina. Ho praticamente dormito 30 ore di fila, ma ora mi sento piuttosto bene, anche se privo di appetito e deboluccio.

Martina, la ragazza di Firenze che lavora all'ostello Caith, oggi ha la giornata libera e ha organizzato una visita a piedi della città insieme a Flora, una signora peruviana che lavora qui, forse come insegnante (non ne sono sicuro). Hanno invitato anche me e, sperando di avere forze a sufficienza, mi sono unito volentieri.

Girare con una persona del posto è diverso rispetto a muoversi da soli e scopro così molti dettagli ai quali la settimana scorsa non avevo badato. Interessante la famosissima pietra dai 12 angoli (vedi foto) che, a detta di Flora, è LA attrazione più imperdibile di Cusco. Incrociando lo sguardo di Martina, noto con piacere le mie stesse perplessità sulla presunta magnificenza della pietra, ma comunque posiamo accanto al reperto, per la gioia di Flora.

Con Martina e la famosa pietra dai 12 angoli.

Oggi è domenica e la città è percorsa da vivacissime processioni, con la gente che danza freneticamente, avvolta in travestimenti colorati e suggestivi. Uomini, donne, bambini, anziani, tutti mobilitati. Se ho ben capito si tratta di una serie di eventi che culminerà il 24 giugno, quando i festeggiamenti dureranno giorni e giorni, senza pause.

Per pranzo, Flora ci porta in un locale tipico, frequentato per lo più da peruviani, dove siamo allietati da un gruppo di ballo folcloristico. Sono finalmente riuscito ad assaggiare la famosa chicha de jora. Intenso profumo di lievito e sapore di fermentato che trovo onestamente poco piacevole. Suggestivo comunque pensare che si tratta della più importante bevanda della civiltà Inca.

Ecco Flora dopo il ballo al ristorante.

Domattina saluterò gli amici dell'ostello, ormai diventati quasi una famiglia per me, e partirò alla volta di Puno, grossa città di 230mila abitanti a 3900m di quota, sulle sponde del Lago Titicaca.

 

In viaggio da 100 giorni: Machu Picchu!

Venerdì 7 giugno 2013. In viaggio: giorno 100. In Perù: giorno 9. A piedi: giorno 33.

Salkantay Trek: giorno 5. Visita di Machu Picchu (2453m).

E' solo una coincidenza, ma il mio centesimo giorno di viaggio è stato assolutamente memorabile, da tanti punti di vista.

Inutile negare che avevo delle aspettative su Machu Picchu. O meglio, dei pregiudizi. Non avevo mai approfondito la questione e, dalle classiche foto che si vedono ovunque, mi aspettavo che si trattasse di una postazione dalla quale osservare – da lontano – i resti di una città Inca. Mi immaginavo una terribile coda per arrivarci, pochi istanti per godersi la vista, e una lunga via di ritorno. Per fortuna, la realtà è molto meglio.

E' vero che ci sono i resti di una città Inca, l'unica città che non è mai stata raggiunta e depredata dai conquistaori spagnoli. E' vero che ci sono delle postazioni dalle quali scattare le classiche fotografie da cartolina. Si può però anche camminare con tutta calma nella città, fra le case, i templi, le scuole, le fabbriche, i terrazzament agricoli, gli osservatori astronomici. E il tutto nella spettacolare cornice formata dalle montagne circostanti, molto puntute e ricoperte di fittissima vegetazione, a partire dal monte Machu Picchu (poco più di 3000m) e dalla cima Wayna Picchu (circa 2700m). La città è stata costruita sulla sella fra le due cime e il suo vero nome non è noto. Convenzionalmente è stata chiamata come la vicina montagna, a partire dalla sua scoperta nel 1911.

Zeno e Celine appena tornati dal Wayna Picchu.

Anna e Hendrik appena tornati dal Wayna Picchu.

Siamo sempre i soliti sei camminatori, più Sabino che, oltre a essere guida di trekking, ha anche tutte le certificazioni come guida ufficiale del sito di Machu Picchu. A quanto ho capito, Sabino è anche insegnante di storia (non mi è chiaro se nelle scuole superiori, all'università, o in altro ente) e, addirittura, fra qualche mese uscirà nelle librerie di tutto il Perù una sua opera dedicata alla civiltà Inca e ai principali siti archeologici.

Per visitare Machu Picchu è necessario effettuare tutta una serie di pronotazioni, alcune anche piuttosto salate, con largo anticipo. Chi vuole, previa ulteriore prenotazione e obolo di 15 dollari, può anche salire fino in cima al Wayna Picchu, ma c'è un limite di 400 persone al giorno. Purtroppo Steffi e io ci siamo iscritti al trekking all'ultimo minuto, quando i posti per l'opzione Wayna Picchu erano già esauriti.

Con Steffi durante la visita guidata di Sabino.

Mentre gli altri salivano la cima, Steffi e io abbiamo potuto fare una visita guidata personalizzata di oltre due ore e mezza in compagnia di Sabino, scoprendo molti dettagli di estremo interesse, quasi da addetti ai lavori. Grazie Sabino!

Mentre Sabino ripeteva la visita guidata per gli altri appena tornati dalla cima, abbiamo avuto alcune ore libere a disposizione per esplorare autonomamente il sito. Per prima cosa abbiamo trovato il punto esatto da dove si gode della classica vista da cartolina. Che soddisfazione. Poi, ci siamo avviati con calma verso Intipunku, il cancello del Sole (Sungate), il passo da dove i visitatori che seguono l'antico cammino Inca avvistano per la prima volta la città. Circa 40 minuti di salita, meno turisti, e la possibilità di sedersi su una delle terrazze per ammirare dall'alto e in tutta calma le rovine e il paesaggio circostante.

Sono molto grato a Steffi per i bellissimi momenti insieme. Anche ripensandoci ora, a distanza di qualche giorno, resto stupito dagli argomenti che siamo andati a toccare, con un'intesa e una naturalezza davvero fuori dal comune. Quando la sera a Cusco è arrivato il momento di dirsi addio, è stato decisamente doloroso.

Costruzione a Intipunku (Sungate).

 

Paesaggi industriali

Giovedì 6 giugno 2013. In viaggio: giorno 99. In Perù: giorno 8. A piedi: giorno 32.

Salkantay Trek: giorno 4. Da Llactapata (2700m) a Aguas Calientes (2050m).

Dovevo aspettarmelo. Un paese chiamato Hidroelectrica ha buone probabilità di non essere esattamente un gioiello immerso nella natura. Rotaie, tubi che scendono dalle montagne, distese di Caterpillar, silos. Le poche case sono esclusivamente ristoranti per i turisti che si avvicinano a Aguas Calientes, nostra destinazione odierna.

La discesa da Llactapata, per quanto ripida, è filata liscia, in mezzo alla foresta e alle coltivazioni di caffè. Nulla lasciava presagire l'imminente cambio di paesaggio. Si vedeva solo la montagna e una bella cascata impetuosa. Sabino ci ha pazientemente spiegato il funzionamento della centrale idroelettrica: il tubo giallo, il tubo verde, la cascata artificiale per l'acqua in eccesso, le turbine… a parte la cascata, tutto invisibile dalla piazzola dove abbiamo fatto la merenda di mezza mattina. Pochi minuti dopo, svoltato l'angolo, abbiamo trovato le prime comitive di turisti in coda al checkpoint, nonché il paesaggio industriale descritto sopra.

Dopo pranzo abbiamo dovuto salutare i nostri bravissimi cuochi; d'ora in poi mangeremo infatti in ristoranti o per conto nostro. Per l'occasione, a colazione sono riusciti a cucinare una bellissima e buonissima torta (vedi foto), usando esclusivamente il solito fornelletto a gas… come avranno fatto?

Zeno impegnato a camminare sulle rotaie.

Il programma del pomeriggio prevede di spostarsi da Hidroelectrica a Aguas Calientes a piedi lungo le rotaie, stando ovviamente ben attenti a non farsi travolgere dal treno che di tanto in tanto passa. Nonostante i numerosi gruppi di camminatori, il cammino è interessante. Oltre a dover tenere alta l'attenzione a causa del possibile arrivo del treno, una forte pioggia ci ha accompagnati per le ultime due ore. Mi ha divertito notare il diverso comportamento. I tre amici tedeschi e io, spaventati da tanta acqua, abbiamo messo le ali, cercando di forzare le tappe e annullare le pause. Zeno e Celine invece, da bravi scozzesi, sono rimasti colpiti da quanto la pioggia fosse calda e… se la sono goduta in tutta calma. Grandi!

Aguas Calientes è il punto di partenza per chi vuole raggiungere Machu Picchu, e si vede. Il paese fino a non molti anni fa nemmeno esisteva, mentre ora sembra la piazza dei fast food di Gardaland: colori, neon, tutto finto, prezzi stellari. Questa sera cena al ristorante e notte in albergo (di buona qualità), tutto già comperso nel prezzo del trekking. Domani ennesima sveglia all'alba e… Machu Picchu!

Sul punte ferroviario.

Aspirante suicida?

 

Primo contatto con Machu Picchu

Sito archeologico di Llactapata.

Mercoledì 5 giugno 2013. In viaggio: giorno 98. In Perù: giorno 7. A piedi: giorno 31.

Salkantay Trek: giorno 3. Da La Playa (2100m) a Llactapata (2700m).

Anche se sulla carta la tappa di oggi sembrava molto corta, in realtà è risultata piuttosto impegnativa, tanto da stimolare la classica crisi del terzo giorno in alcuni compagni di cammino. Un bel salitone ripido, dai 2100m del campo fino ai 2900m del passo. Quasi tre ore lungo un sentierino nella foresta, attraversando bellissime coltivazioni di caffè, frutti della passione, banane, e molto altro.

La salita risulta particolarmente interessante perché lunghi tratti seguono un antico cammino Inka. Pavimentazione di pietra, muretti ai lati, scalini altissimi e molto faticosi da superare. La statura media in Perù (sia quello moderno, sia quello antico) è piuttosto bassa e non capisco perché abbiano costruito scalini del genere… forse per fare più fatica?

Primo sguardo verso Machu Picchu

Subito dopo il passo si arriva nel sito archeologico di Llactapata che, oltre a essere spettacolare di suo, offre un'eccellente vista verso il famosissimo sito di Machu Picchu. Davvero un'emozione incredibile avvistare per la prima volta, anche se ancora da lontano, un luogo tanto celebrato. Llactapata assume un significato particolare se si pensa che gli abitanti di Machu Picchu, una volta ricevuto l'ordine di evacuare a causa dell'imminente arrivo degli spagnoli, si sono trasferiti proprio qui. Estasiati dalla magia del posto, ci siamo seduti per terra, occhi fissi sulla montagna vicina, cullati dal prato e dal sole.

Poco sotto, a quota 2700m, un edificio costruito apposta per i camminatori, con perfetta vista verso Machu Picchu e un bel prato per le tende. Nel corso del pomeriggio libero ci siamo dedicati a riposare le membra, a giocare a carte, a chiacchierare amabilmente… ah, che vita!

Un tratto della discesa di ieri.

Casetta tipica nella foresta.